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venerdì, Aprile 26, 2024

Difendere il lavoro dalla malapianta dell’ignoranza

Come difendere il lavoro dalla malapianta dell’ignoranza? In che modo e perchè l’ignoranza dovrebbe danneggiare il lavoro?

L’articolo 41 della Costituzione della Repubblica italiana recita che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Il dibattito su questo articolo si è spesso concentrato sull’opera di chi assume l’iniziativa privata, sulla realizzazione di un progetto che, non contrastando con l’utilità sociale, non recando danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, possa favorire crescita economica e un autentico sviluppo umano. Papa Francesco, nella sua recente visita a Genova, ha distinto il buon imprenditore dallo speculatore, tracciando il volto di entrambi e le ripercussioni del loro modo di agire sulla società.

Se, comunque, l’iniziativa economica privata è libera e l’articolo 41 elenca contro cosa e contro chi essa non deve svolgersi, possiamo anche domandarci chi o cosa, invece, opera contro una iniziativa economica libera, contro chi vuole assumersi un rischio o più rischi per creare e dare lavoro, soprattutto in territori che, definire difficili, è semplicemente un eufemismo?

Gli ostacoli che incontra chi vuole fare impresa nel nostro Paese li abbiamo ribaditi più volte: eccessiva burocrazia, lentezza delle decisioni pubbliche, mancanza di servizi e infrastrutture adeguate, accesso al credito, tassazione del lavoro elevatissima, corruzione, concorrenza sleale. Accanto a queste “piaghe” di cui si parla spesso e volentieri, senza aver ancora trovato un rimedio per il loro risanamento, vi è una pianta, anzi, una malapianta che ha messo radici ovunque e che manifesta i suoi “frutti cattivi” in diversi modi e luoghi: l’ignoranza.

Il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, in occasione della presentazione del Rapporto Italia 2016, aveva spiegato che l’Italia soffre della sindrome del Palio di Siena, “la cui regola principale è quella di impedire all’avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona”.

Un’espressione un po’ troppo elegante, forse, per descrivere la malapianta dell’ignoranza. Come potrebbe essere chiamata, altrimenti, l’azione di chi, nel danneggiare il prossimo, non si accorge di danneggiare se stesso e di pregiudicare il proprio futuro? Tanti imprenditori italiani, ogni giorno, fanno i conti con chi, in diversi modi, seppur non appartenendo necessariamente a clan mafiosi, provocano danni alle loro attività. La cronaca racconta quotidianamente di denunce e di ritorsioni contro chi denuncia. Violenza su violenza, ma l’omertà e la paura non possono e non devono avere l’ultima parola.

A fronte di tutto questo, alcune domande sorgono spontanee: cosa vuol dire fare impresa, soprattutto nei territori più difficili come, ad esempio, la Calabria? Quali sono gli strumenti per difendere il buon imprenditore e sostenere la buona economia? Su cosa si fonda esattamente l’economia dei territori poveri che, all’apparenza, poveri non sono?

A volte ci ostiniamo a presentare la realtà del nostro Paese come una bellissima tavola imbandita, con splendide posate, senza però prestare attenzione al fatto che la tovaglia sulla quale poggiano questi oggetti presenta molte macchie, poichè si poggia, a sua volta, su una base sporca, unta, che andrebbe ripulita. Fare i conti con questa “base sporca” non significa essere gufi, voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, scoraggiarsi, avvilirsi, ma prendere coscienza, ancora di più, che c’è tanto da fare ancora per sconfiggere ed estirpare la malapianta dell’ignoranza, dentro e fuori di noi, per difendere il lavoro e chi crea lavoro vero, per un autentico sviluppo umano, senza il quale non può esserci un reale sviluppo del territorio.

 

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