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Benedetto Cotrugli e l’umanesimo del buon imprenditore

In un tempo in cui termini quali “azzardo”, “rischio” vengono pronunciati con una leggerezza da far paura, parlare della virtù della prudenza, declinata al mondo dell’impresa, del lavoro in sintesi, può essere per certi versi un’operazione addirittura salvifica. Per questo motivo propongo il contributo del prof. Flavio Felice, Chairman del Centro Tocqueville Acton, e professore ordinario di “Storia delle Dottrine Politiche” presso l’Università del Molise, sulla figura di Benedetto Cotrugli e l’umanesimo del buon imprenditore.

«La prudenza è il principale elemento dell’onestà e ha in sé il discernimento del bene e del male, e consiste nel ricordarsi del passato, nel valutare il presente e nel provvedere al futuro» (p. 32). Con queste parole, l’umanista, mercante, diplomatico e accademico raguseo Benedetto Cotrugli (1416-1469) indica la dote principale che dovrebbe possedere un uomo d’affari, un imprenditore autentico, colui che con fatica ed ingegno offre i propri i capitali – tangibili e intangibili – per creare ricchezza: la condizione necessaria, sebbene non ancora sufficiente, per porre le basi di una vita decorosa e di un benessere diffuso.

Introduciamo brevemente il pensiero del Cotrugli per presentare la riedizione del suo trattato più noto: Libro de l’arte de la mercatura, che la Rizzoli ha dato alle stampe con un titolo: Arricchirsi con onore. Elogio del buon imprenditore, curato da Alessandro Wagner e con un bella prefazione dell’imprenditore Brunello Cucinelli.
Un pregio indubbio del volume, oltre l’eleganza della fattura e la riproposizione stessa di un caposaldo del pensiero economico pre-classico, è la ricostruzione che il curatore svolge per mostrare come l’opera del Cotrugli sia giunta fino a noi, passando per storpiature e omissioni che Wagner giunge a definire “scempio”, facendo riferimento alla prima edizione, pubblicata dall’editore Francesco Patrizi di Venezia per la libreria l’Elefanta nel 1573.

L’opera è databile tra l’estate e l’autunno del 1458. Un trattato in cui l’autore affronta un tema all’epoca innovativo e ancor oggi estremamente attuale: “l’arte di fare business”. Con le parole del curatore: «un manuale archetipo, irripetibile per il quadro d’insieme che costruisce e propone coniugando una profonda visione umanistica e una raffinata e acuta conoscenza e pratica mercatili e finanziarie» (p. 132).

Il volume è suddiviso in tre parti. Un proemio: L’arte del mercante, in cui l’autore giunge a definire la mercatura il “vero motore del mondo” e, quindi, “la più nobile delle arti”, mezzo universale che garantisce il necessario per lo sviluppo dell’umanità; il trattato: L’arte della mercatura, dove il Raguseo espone le quindici regole d’oro per “arricchirsi con onore” e dove spicca una dettagliata descrizione relativa alla “partita doppia”, ben un quarto di secolo prima che lo facesse il più noto abate Luca Pacioli; e infine un epilogo, in cui l’autore invita l’uomo d’affari a sapersi ritirare al momento giusto, per godere delle sue ricchezze, ma anche per potersi dedicare alla vita contemplativa: «Qui la vita umana si riposa e il nostro spirito riprende fiato, qui si vive felicemente e si muore sereni, qui si rende ciò che dovuto a Dio, al mondo, a sé a e agli altri» (p. 121).

Di grande importanza è il ruolo che Cotrugli attribuisce alla “prudenza”, invitando il mercante-imprenditore ad essere “audace e prudente insieme”, a “guardare lontano” e ad “avere fiducia nella fortuna”. Il tema della prudenza è tutt’altro che inedito, basti pensare che l’umanista Albertano da Brescia nel 1246 ad esso dedica il terzo dei suoi trattati: Liber Consolationis et Consilii. Il Cotrugli, come ebbe modo di sottolineare il compianto Prof. Oscar Nuccio, sembra far propria la lezione del giureconsulto bresciano e incrocia gli aspetti teorici di Albertano con la dimensione prasseologica, che esalta l’opera dell’imprenditore come artefice del buon governo della città ovvero della civitas humana, per dirla, rispettivamente, con le parole di Luigi Einaudi e di Wilhelm Röpke.

Il buon imprenditore, in una società libera, a differenza del predone o del redditiere che opera in condizioni di monopolio, assistito dallo Stato e tollerato dalle istituzioni, in quanto funzionale ad una società servile, è colui che adotta la conoscenza del presente per ordinare fatti trascorsi, attuali e possibili circostanze future, in vista di determinati obiettivi che reputa potenzialmente raggiungibili. È l’uomo che tiene in debita considerazione la lezione del passato e la congiuntura del presente e se ne serve come elementi funzionali all’agire, in vista di un futuro incerto; è un uomo che si interroga incessantemente sulle cause dei fatti, giudica sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione e analizza le possibili conseguenze delle sue azioni, azzardando anche ragionevoli previsioni, con la chiara consapevolezza dell’impossibilità di prevedere deterministicamente il succedersi degli eventi umani.

L’opera del Cotrugli, elogiando l’agire del buon imprenditore, si colloca in quella tradizione di pensiero che giunge ai nostri giorni, intercettando il modello dell’economia sociale di mercato e ci aiuta a comprendere come, in una società aperta, la politica non ha il monopolio del bene comune ed è ancora lì ad insegnarci, dopo svariati secoli, che tra gli ordini che partecipano ad esso c’è la comunità degli imprenditori, con le loro istanze, i loro bisogni, ma anche con le loro virtù e con i loro “doni” che possono contribuire a rendere la stessa società civile più equilibrata e ricca.

Prof. Flavio Felice

(Avvenire 30 giugno 2018)

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