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venerdì, Aprile 26, 2024

Adesso tocca a me

“Adesso tocca a me” è una frase che il magistrato Paolo Borsellino pronunciò rivolgendosi alla moglie, subito dopo la morte del suo collega Giovanni Falcone.

“Devo fare in fretta, perchè adesso tocca a me”.

Questa espressione la utilizziamo spesso quando decidiamo di partecipare attivamente ad un progetto, quando sentiamo di dover fare la nostra parte in una situazione, quando siamo colti dall’ entusiasmo per un impegno che ci fa felici. Paolo Borsellino, invece, con quel comando rivolto a se stesso, intese dire che il prossimo a morire per mano di altri uomini sarebbe stato lui.

La certezza di un’esecuzione, di un pericolo ormai prossimo. Nessuna gioia, tanta paura e tristezza, se non segreta disperazione per dover lasciare ingiustamente i suoi cari, il suo mondo.

Tutto questo mi ha indotto a fare due considerazioni. La prima, anche scontata, è: forse possiamo aver compreso quello che i due giudici hanno professionalmente compiuto, ma non quello che umanamente hanno vissuto. Una considerazione che oggi, dopo gli audio ascoltati, grazie ai quali sappiamo che Paolo Borsellino denunciava con lucidità, nel 1984, di essere protetto dallo Stato a ore alterne del giorno, sfocia nello sgomento:

“La macchina blindata solo la mattina così posso essere ucciso la sera”.

La seconda considerazione, in realtà, è più una domanda: quanto siamo disposti a pronunciare un “Adesso tocca a me”, a fare la nostra parte, quando questa ci espone ad un rischio reale per la nostra vita? A procedere pur in presenza di un pericolo e con la consapevolezza di non essere davvero difesi?

Qualcuno potrebbe rispondere che bisogna trovarsi in una determinata situazione per poter rispondere. È vero, ma a me è stato insegnato che ai grandi SI giungiamo attraverso dei piccoli sì e ai grandi NO attraverso dei piccoli no, perché la partecipazione non si improvvisa, il coraggio neppure.

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