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domenica, Aprile 2, 2023

ll vento del regresso

Le ultime elezioni presidenziali americane hanno messo in evidenza come la stampa, in generale, non riesca più a leggere i “segni dei tempi”, per farsene interprete e raccontarli con una buona percentuale di fedeltà. Il riferimento non è solo al contesto degli States. Comunque sia, le ragioni della scarsa capacità della stampa di “stare sul pezzo”, per usare non a caso un’espressione giornalistica, di intercettare le trasformazioni, possono essere tante, certamente legate ad una buona dose di sua sudditanza nei confronti del potere politico, economico e finanziario. Una sudditanza che resiste al tempo e genera regresso?

E’ d’obbligo domandarsi, a questo punto, se non stia accadendo la stessa cosa con il racconto delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro, ossia, se la stampa le stia interpretando adeguatamente e fedelmente, anche in relazione all’entità delle conseguenze che queste stanno provocando nella società civile….quella che poi è chiamata a votare.

L’episodio che in questi giorni ha riguardato i dipendenti dello stabilimento della Oerlikon Graziano di Bari può essere preso ad esempio per suffragare il ragionamento. I lavoratori sono stati raggiunti da un comunicato aziendale che sancisce che “le pause fisiologiche individuali effettuate dai lavoratori addetti direttamente o indirettamente alla produzione diventano collettive”. Le pause dovrebbero essere due, di nove minuti ciascuna.

L’azienda precisa che il provvedimento “risponde alla duplice esigenza di sicurezza nelle regole di fruizione e di salute dei lavoratori”. Di sicurezza, in quanto i “i lavoratori, restando presso la postazione durante tutto il turno e allontanandosi solo in occasione del turno di refezione e delle due pause collettive, mantengono maggior concentrazione, riducendo, di fatto, i rischi da distrazione”; di salute, perché “la cadenzata periodicità delle pause fisiologiche obbligatorie riduce il rischio di patologie da movimenti e sforzi ripetuti”.

La notizia del comunicato, riportata dai quotidiani nazionali, ripresa anche da Massimo Gramellini nella rubrica “Buongiorno” (La Stampa) con toni di accesa ilarità, non può, però, essere liquidata con ironia o con commenti sprezzanti che, in conclusione, non pongono in essere alcuna soluzione.

Se un’azienda dispone simili provvedimenti ritenendoli “normali”, se si spinge a formulare persino motivazioni nobili a sostegno di questi, inneggianti alla sicurezza e alla salute, qualcosa o più di qualcosa non funziona. Altro che abolizione dell’articolo 18! Questo evento ci dice, in maniera molto chiara, che tutto l’impianto dei diritti e dei doveri dei lavoratori si sta sgretolando.

E’ come se il rispetto da adottare quando si sta al cospetto di un lavoratore, perchè prima di tutto persona, cittadino e non suddito, non esistesse più, come se il livello di guardia massimo fosse saltato, fosse stato abbattuto e soppiantatato dalle ormai famose ragioni di sopravvivenza che hanno di fatto aumentato le disuguaglianze sociali.

Ricapitolando: i Millenials sono disposti a rinunciare ai loro diritti pur di trovare un lavoro, i riders di Foodora reclamano una giusta retribuzione aprendo uno spaccato su una realtà tutt’altro che innovativa, sotto tanti punti di vista (può essere nuova la forma ma la sostanza non cambia), i dipendenti della Oerlikon Graziano di Bari (più di 400) sono chiamati ad una “minzione di gruppo”, come l’ha definita Massimo Gramellini, e così via.

Un ulteriore interrogativo è d’obbligo a questo punto: una generazione che rinuncia ai suoi diritti nel presente, quale mondo potrà consegnare alla storia e alle future generazioni? Sarà capace di tramandare soprattutto il valore di qualcosa che non ha conosciuto, di cui non ha goduto, di cui ha sentito solo parlare, anche con toni di superficialità? Che significato darà a parole come crescita, sviluppo, se ha vissuto in un momento storico in cui il regresso è stato spacciato per progresso?

Insomma, quale spot sta andando in onda? Dietro un pullulare di termini nuovi, di nuove forme di lavoro, cosa si nasconde realmente? Queste nuove forme di lavoro incontrano una mentalità rinnovata che possa sposarle proficuamente nella loro totalità di senso o il rischio è sempre quello di fare “a modo nostro” laddove il profitto è sempre qualcosa da arraffare e non da distribuire, qualcosa che viene prima della persona e che, per questo, genera regresso e non progresso?

 

 

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