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venerdì, Aprile 19, 2024

Sicurezza e lavoro. Intervista a Zoello Forni, Presidente nazionale ANMIL

L’idea di intervistare Zoello Forni, Presidente nazionale ANMIL, nasce dalla volontà di andare oltre le drammatiche statistiche che riguardano gli infortuni sul lavoro e aprire, così, una nuova fase di discernimento su una piaga che, direbbe John Steinbeck, “nessun pianto può descrivere”.

Presidente Forni, alla luce della Sua esperienza di vita e professionale, funziona ancora l’approccio tradizionale e burocratico alla sicurezza sul lavoro oppure è necessario cambiare paradigma?

Ritengo che un approccio strettamente burocratico alla prevenzione non possa ritenersi da solo sufficiente a garantire il rispetto della salute e sicurezza dei lavoratori. Avere un corpo di regole a cui attenersi è necessario, ma occorre anche una forte consapevolezza, da parte sia delle aziende che dei lavoratori stessi, dell’importanza che esse ricoprono. Per questo l’ANMIL è da anni direttamente impegnata nella diffusione di una cultura della sicurezza che possa favorire l’interiorizzazione di questi principi, per superare l’idea che la prevenzione sia solo un aggravio in termini di tempo e di costi, ancora purtroppo molto frequente nella nostra società. Lo facciamo attraverso la testimonianza diretta dei nostri dirigenti ed associati, che hanno subìto sulla propria pelle il dramma di un incidente o di una malattia professionale, che attraverso i propri racconti riescono a veicolare in maniera molto efficace messaggi di enorme importanza.

Gli incidenti in itinere fanno registrare un aumento del 20,9% rispetto ai primi otto mesi del 2021: come commenta il dato?

Nel 2022 il drastico rallentamento della morsa della pandemia e la conseguente ripresa delle attività lavorative hanno comportato una forte crescita del monte ore lavorate e, di riflesso, dell’esposizione al rischio da parte dei lavoratori; era pertanto prevedibile che in quest’ultimo periodo ci fosse anche una parallela ripresa degli infortuni rispetto al biennio 2020-2021, durante il quale si era registrato un vero e proprio crollo di infortuni sul lavoro (dai 645.000 casi circa del 2019 e anni precedenti, ai 572.000 del 2020 e 564.000 del 2021). La ripresa delle attività, oltre al rischio insito nei luoghi di lavoro, ha comportato anche una maggiore mobilità dei lavoratori esponendoli anche al “rischio strada”.  Infatti, nei primi nove mesi del 2022 (ultimi dati recentemente pubblicati) si registra un forte incremento sia degli infortuni avvenuti in occasione di lavoro (+37,5%), sia di quelli in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro (+20,5%).

Dal suo punto di vista, in che modo l’emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus ha condizionato l’andamento infortunistico del 2020 e 2021? C’è qualche dato che merita particolare rilievo?

Come già detto, nel biennio 2020-2021, il blocco di varie attività produttive, le riduzioni di personale attraverso cessazioni dei rapporti di lavoro o cassa integrazione, lo smart working ed altre situazioni correlate, hanno fatto registrare un drastico ridimensionamento dei livelli infortunistici. Per contro, per quanto riguarda in particolare i casi mortali, lo stesso biennio è stato caratterizzato da un notevole aumento rispetto agli anni pre-Covid (quando si contavano in media circa 1.250 infortuni annui) con 1.684 casi nel 2020 e 1.361 nel 2021. Tali incrementi sono dovuti esclusivamente al notevole apporto dei decessi per “infezione da Covid in ambito lavorativo” (soprattutto nella Sanità) che sono stati equiparati a infortuni sul lavoro dal D.L.18/2020 del 17 marzo 2020; nei primi nove mesi 2022, con l’attenuarsi della pandemia, c’è stato un prevedibile calo degli infortuni mortali del 13,2% rispetto al 2021. 

Ma da una più attenta analisi statistica emerge un dato non solo di notevole rilievo ma anche molto preoccupante: nei primi nove mesi 2022 c’è stata, come detto, una ripresa degli infortuni rispetto agli stessi periodi del 2020 e del 2021, e questo, per le considerazioni fatte, era largamente prevedibile. Lascia, invece, sconcertati il fatto che negli stessi primi nove mesi 2022 si riscontri un aumento del 14,4% anche rispetto allo stesso periodo del 2019, anno precedente la pandemia, quindi “normale”.

Così come non ci si aspettava che il dato dei morti nei primi nove mesi 2022 (790) risultasse in aumento rispetto allo stesso periodo 2019, quando se ne erano registrati 780.

E questo sta certamente a significare che l’andamento attuale degli infortuni sul lavoro nel 2022 è effettivamente in preoccupante crescita rispetto agli standard consolidati degli anni ante – pandemia.

Nei primi 9 mesi del 2022 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha effettuato 12.522 ispezioni in materia di salute e sicurezza. L’esito dei controlli, che hanno riguardato tutti i settori produttivi, in particolar modo l’edilizia, desta grandissima preoccupazione. Come legge questo dato chi è rimasto coinvolto in un infortunio sul lavoro?

Attualmente l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (I.N.L.) ha una dotazione di circa 4 mila Ispettori (tra ex dipendenti del Ministero del lavoro e di Inps e Inail, compreso un corpo ad hoc di Carabinieri). Anche se per il triennio 2022-2024 è prevista l’assunzione di altre 1.600 unità, il loro numero appare obiettivamente del tutto insufficiente se rapportato agli oltre 5milioni di imprese attive nel Paese. I controlli sul rispetto delle norme per la sicurezza sul lavoro rappresentano uno dei pilastri fondamentali su cui si basa la filiera per la tutela integrale dei lavoratori, dalla informazione, alla formazione, alla prevenzione fino, appunto, alle ispezioni e al controllo.

L’articolo 20 del Testo Unico Salute Sicurezza Lavoro D.lgs. 81/ 2008 evidenzia l’importanza di una “sinergia delle responsabilità” all’interno dei luoghi di lavoro, pur nella differenza dei ruoli. Le testimonianze raccolte lungo tutti questi anni consentono di conoscere lo stato di salute di tale presupposto?

Le testimonianze dimostrano che, laddove questa sinergia è attuata, la prevenzione funziona in maniera decisamente migliore. Abbiamo esempi molto virtuosi di contesti in cui tutti gli attori della sicurezza collaborano e perseguono lo scopo ultimo di evitare queste tragedie; di contro, laddove questa collaborazione manca, purtroppo incidenti e malattie professionali risultano più frequenti.

Le statistiche rilevano un incremento degli infortuni sul lavoro sia nel settore privato che in quello pubblico. Come mai, dal punto di vista mediatico, viene riservata poca attenzione a questi ultimi?

È vero che nel settore pubblico si verificano infortuni sul lavoro al pari di quanto accade nel privato. Ma è altrettanto vero che i livelli di rischio dei principali settori produttivi privati sono notevolmente più elevati di quelli pubblici che in genere hanno carattere amministrativo/impiegatizio; i maggiori rischi lavorativi si riscontrano, ad esempio, nelle Costruzioni, nei Trasporti, nell’Agricoltura e nella Metallurgia. Molto spesso, peraltro, si tratta di infortuni molto gravi o addirittura mortali che per la loro drammaticità e ripetitività trovano largo e frequente spazio sui media. È interessante, ma anche preoccupante, notare che il maggior numero di morti si riscontra nelle Costruzioni, causate nel 60% dei casi da Cadute dall’alto (tetti, ponteggi, impalcature, ecc.) e in Agricoltura, dove circa la metà dei decessi è dovuta a ribaltamento del trattore.

Il settore dell’agricoltura registra, invece, una flessione. Un dato positivo?

Da molti decenni, ormai, occupati e infortuni sul lavoro nel settore agricolo fanno registrare un andamento costantemente e sensibilmente decrescente. Si tratta di un fenomeno dalle origini storiche che si è andato affermando sin dagli anni del miracolo economico che, come noto, ha comportato un progressivo allontanamento della manodopera agricola verso attività più remunerative dell’industria e del terziario. Va detto tuttavia, che negli ultimi anni si nota un deciso rallentamento con tassi di decrescita molto più contenuti ma comunque sempre tendenti al ribasso. Tale lieve flessione si è registrata anche nell’ultimo quinquennio e prosegue anche nei primi nove mesi 2022, sia per gli infortuni (-3,2%) che per i casi mortali (scesi da 98 a 97), rispetto ai primi nove mesi 2021.  

In occasione della Giornata Nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, sarebbe possibile immaginare, accanto alle celebrazioni civili e religiose, degli incontri di discernimento da vivere dentro le aziende?

Decisamente sì, anzi è un approccio che l’ANMIL vorrebbe consolidare per il futuro. La celebrazione nazionale della 72° Giornata dello scorso ottobre è stata infatti la prima ad essere ospitata da un’azienda, la Claber S.p.a. di Fiume Veneto, invece che da una sede Istituzionale. È una scelta che l’Associazione ha preso per avvicinare questa ricorrenza alle aziende, che sono la “casa” dei datori di lavoro e dei lavoratori, per rafforzare la collaborazione con il tessuto produttivo e rilanciare il messaggio secondo cui, in un contesto virtuoso, tutti devono fare la propria parte per garantire una vera prevenzione.

Quale rapporto ha l’ANMIL con chi fa impresa? Tale rapporto può facilitare i percorsi di reinserimento lavorativo degli infortunati? Mi riferisco soprattutto a coloro che necessitano di una nuova ricollocazione per l’impossibilità a svolgere le precedenti mansioni.

L’ANMIL vuole essere un punto di riferimento per chi fa impresa, sia nella veste di ente impegnato nella diffusione della cultura della sicurezza, sia per quanto attiene i servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Sappiamo quanto sia difficile, per chi ha subito un infortunio invalidante, rientrare nel mondo del lavoro e doversi reinventare spesso totalmente con una disabilità acquisita. Sono difficoltà alle quali cerchiamo di dare una risposta attraverso la rete di enti nati nel tempo attorno ad ANMIL: attraverso IRFA, l’Istituto di Riabilitazione e Formazione ANMIL, che è specializzato nella formazione professionale, e attraverso i nostri Sportelli per il Lavoro, nati proprio per creare un ponte tra disabilità e mondo del lavoro.

Le tutele riconosciute dalla legge alle vittime degli infortuni sul lavoro sono, a suo avviso, soddisfacenti?  

Purtroppo la normativa italiana non può dirsi adeguata a garantire efficacemente i diritti delle vittime del lavoro e delle loro famiglie, principalmente perché la maggior parte delle norme in materia è contenuta in un Testo Unico del 1965, che dimostra ormai tutta la sua arretratezza di fronte ad una società che negli ultimi decenni è profondamente cambiata. Non è più adeguato il sistema degli indennizzi economici, non è adeguata la tutela riconosciuta ai superstiti delle vittime. Da ormai diversi anni l’ANMIL rivendica a gran voce l’urgenza di una revisione complessiva dell’assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali, obiettivo che continueremo a perseguire nella legislatura appena avviata.

Come definisce la qualità dei provvedimenti legislativi in materia di sicurezza del lavoro?

La normativa italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro è sulla carta tra le più evolute e puntuali, ma manca purtroppo di efficacia e di effettiva applicazione. Lo dimostrano i numerosi incidenti causati dalla violazione di norme pur esistenti, ma disattese. Occorre a mio avviso rafforzare il sistema di ispezioni e vigilanza al fine di garantire la regolarità delle aziende e, al tempo stesso, agire sul fronte della formazione e dell’informazione per creare il terreno fertile al recepimento delle norme.

L’articolo 35 della Costituzione recita “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. Quali misure adotterebbe per dare attuazione oggi a questi principi?

Sicuramente avendo maggiore attenzione alle nuove forme di lavoro, a tutti quei rapporti che sfuggono alla definizione classica di lavoro subordinato e dietro ai quali possono nascondersi condizioni di lavoro potenzialmente rischiose, fino ad arrivare addirittura allo sfruttamento. Tutelare il lavoro significa anche eradicare tutte quelle zone grigie nella quali i lavoratori si trovano soli e privi di tutela, impossibilitati persino a denunciare irregolarità e a pretendere il rispetto dei loro diritti. Le norme costituzionali ci richiamano all’importanza di fare del lavoro un momento di elevazione: per questo non possiamo più tollerare che il lavoro sia per qualcuno causa di dolore e sofferenza, non possiamo più accettare che un lavoratore non torni a casa dalla propria famiglia. Ci auguriamo che il nuovo Governo e il Parlamento sappiano agire con decisione e prontezza per arginare un fenomeno che, come dimostrano i dati infortunistici, ha raggiunto dimensioni drammatiche.

2 Commenti

  1. L’ applicazione delle norme sulla sicurezza viaggiano in parallelo con la regolarità e gli accordi tra datore di lavoro e lavoratore, non sempre rispettosi dei ccnl e della normativa sul lavoro. La carenza degli organi ispettivi dei vari enti (INPS Inail Itl Casse edili ecc.) completano il quadro.

  2. L’intervista, ben impostata e condotta da Cinzia Docile, conferma un aspetto paradossale determinatosi nell’ultimo decennio: al cospetto di una sempre maggiore attenzione del Legislatore alla sicurezza sul lavoro e alla relativa formazione obbligatoria in materia, i dati evidenziano una crescita esponenziale degli infortuni e dei decessi. Si tratta di una circostanza impensabile dieci anni fa, le cui cause devono essere accuratamente approfondite. A titolo esemplificativo e non esaustivo, provo ad ipotizzarne alcune: a) il sempre maggiore ricorso a manodopera straniera non adeguatamente formata e comunque più difficile da formare; b) il contenimento dei costi per l’acquisto e la manutenzione di macchinari e altri materiali necessari per lo svolgimento di attività lavorative, dovuto anche alla crisi economica e alla pressione fiscale; c) l’emanazione di nuove normative (ad esempio, quella sul cd. “bonus 110%) che hanno fissato tempistiche attuative molto serrate, inducendo gli imprenditori a frettolosi (e spesso difettosi) allestimenti di cantieri e all’assunzione di lavoratori non adeguatamente formati. Potrebbero a mio avviso esserci inoltre diverse altre cause, anche di natura sociologica, che meriterebbero di essere individuate e approfondite, e questa intervista fornisce un importante contributo a tal fine.

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