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mercoledì, Giugno 7, 2023

Settembre, andiamo. È tempo di lavorare

Settembre, andiamo. È tempo di lavorare.

In realtà c’è chi non ha mai smesso di lavorare, neppure in estate. C’è anche chi non ha mai neppure cominciato o ha interrotto da tempo e non trova il modo di “tornare in pista”. Tuttavia settembre è sin dai tempi della nostra fanciullezza, del rientro a scuola, il momento della ripresa, il momento in cui possiamo dire che inizi davvero un nuovo anno. Nuovi propositi, nuove promesse fatte a noi stessi, una nuova pagina da scrivere, tante incognite legate ad un presente carico di nuvole e ad un orizzonte a tinte fosche.

Non possiamo dire che il lavoro sia un tema marginale nell’agenda politica di questo Governo, come pure degli altri esecutivi che lo hanno preceduto. Non solo. Ci sono almeno due elementi che accomunano il loro impegno in tale ambito: la pancia del Paese (a volte la parte più forte, a volte la parte più debole) posta al centro della loro mission, naturalmente alla ricerca del consenso, e l’attenzione a come “regolare” il lavoro (non riformare), mentre si va da tempo smarrendo il senso del lavoro, o quantomeno, l’idea del lavoro come sogno, come possibilità che l’uomo ha di poter realizzare qualcosa di importante nella propria vita e, anzitutto, sé stesso.

Il riferimento non è ai NEET (Not in Education, Employment or Training), tema al quale viene dedicato anche il libro “Confessioni di un neet” (Sandro Frizziero per Fazi Editore), da pochissimi giorni dato alle stampe, ma ad una platea sempre più ampia di persone, uomini e donne, di diverse età, che sperimentano stanchezza.

Che cos’è questa stanchezza? E cosa ha a che fare con quel venir meno del senso del lavoro? È in essa la radice del problema?

Una inadeguata retribuzione, un contratto precario, un licenziamento ingiusto, una tassazione del lavoro elevata, una burocrazia soffocante, un accesso al credito sempre più difficile, una continua messa in discussione dei principi basilari secondo cui un lavoro può essere definito degno, contribuiscono a far crescere il bisogno di sempre più nuove regole. Più regole, però, non vuole dire automaticamente più regole giuste. Questi continui cambiamenti provocano un aumento di incertezza e, lo dicevamo, di stanchezza.

La stanchezza può rappresentare una minaccia, una tentazione alla rinuncia, ma non può voler dire disorientamento o perdita del senso del lavoro. Almeno non in presenza dell’esistenza di un progetto. Se abbiamo un progetto con noi, se custodiamo la volontà di raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati, di trasformare la realtà, migliorandola con l’opera delle nostre mani e del nostro ingegno, il disorientamento non può costituire l’epilogo della nostra storia e del nostro sogno.

Se anziché faticare per un progetto, invece, aneliamo a trovare una “sistemazione”, per mantenere una vita sganciata in realtà dal sogno di vederla ampiamente realizzata, in cui una parte fondamentale di noi stessi non può che rimanere relegata in una stanza buia, quasi messa a tacere, il disorientamento, allora, è qualcosa che può aver addirittura preceduto la nostra ricerca di lavoro.

Non è scontato, infatti, avere un progetto o raggiungere la maturità scolastica o una laurea con le idee chiare sul futuro che vorremmo. Questo perché le istituzioni scolastiche, così come concepite finora, non aiutano questo processo e perché nel nostro percorso umano e professionale si inseriscono variabili diverse, che hanno effetti diversi. Accade allora che la consapevolezza di ciò che siamo, di ciò che vogliamo, nel senso più bello del termine, faccia capolino in noi in tempi diversi, più lontani rispetto a quelli che sarebbero utili per gettare le fondamenta solide di un progetto di lavoro.

Qui viene il bello, però! Dicevamo poc’anzi “quasi messa a tacere”, facendo riferimento ad una parte fondamentale di noi stessi. Quel “quasi” non è casuale. La vita irrompe sempre, si fa sentire spesso attraverso una sensazione di vuoto dentro di noi, che ci spaventa. Non è un vuoto, in realtà, ma una mancanza ricca di senso, un richiamo al quale dare possibilmente ascolto. È il nostro sogno che lentamente prende forma e chiede di essere realizzato. È la consapevolezza del lavoro come possibilità di realizzare noi stessi che prende corpo.

Una cosa va precisata, a questo punto. Non è detto che sia scontato che nel momento in cui noi visualizziamo il nostro sogno riusciamo a metterlo in piedi così come lo immaginiamo, senza tener conto di come il mercato del lavoro nel tempo sia cambiato e di quali figure professionali ci sia bisogno. Sogno e realtà devono sempre convergere verso il punto più accessibile.

Il pensiero espresso, seppur denso di limiti, vista la complessità della questione, vuole mettere al centro un punto in sostanza: esiste un mondo del lavoro fatto di leggi, di regole, che fa da cornice alla nostra esistenza, con il quale è spesso difficile confrontarsi, e c’è un mondo del lavoro dentro di noi. Ripetiamo sovente che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e non consideriamo che anche la nostra vita lo è. Il lavoro di studiare, di prepararsi bene alle sfide che ci attendono (e in questo gli adulti devono accompagnare bene i giovani), di saper progettare, di verificarsi, di saper accettare ciò che può essere conseguenza di scelte nostre e non dell’onnipresente nemico di turno. Dopotutto sarà la nostra vita ad essere il risultato complessivo del nostro lavoro.

Settembre andiamo! È tempo di lavorare, di rimettersi in gioco, di riscoprirsi, di riconciliarsi.

 

 

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