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venerdì, Aprile 19, 2024

Il Presidente Mattarella, il vegetale Rovazzi e la trappola dell’eterno presente

Sembra trascorso tantissimo tempo dalla sera del 31 dicembre 2017, da quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha presentato pubblicamente il suo messaggio di fine anno. Neppure un mese ci separa da quell’appuntamento e tutto sembra quasi caduto nell’oblio. Sì, giusto il tempo di qualche prima pagina sui quotidiani più importanti, di qualche comunicato ad opera dei sindacati e anche dei partiti politici per ringraziare il Presidente Mattarella di aver posto al centro il lavoro e la sua necessità, e poi nulla più. Lo constatiamo in queste ore di aperta campagna elettorale il discostamento tra il contenuto delle proposte messe in piedi ( seppur barcollanti) dalle diverse forze politiche e il contenuto, oltre che lo spirito, del messaggio del Capo dello Stato.

“Il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. E’ necessario che ve ne sia in ogni famiglia. Al tempo stesso va garantita la tutela dei diritti e la sicurezza, per tutti coloro che lavorano”. Questo il passaggio più quotato del discorso del Presidente Mattarella. Un passaggio che dice molto, poco o addirittura niente. Un’osservazione, questa, che potrebbe apparire troppo severa, addirittura ingiusta o inopportuna. In realtà, con un po’ di attenzione, possiamo sciogliere ogni dubbio in merito alla veridicità della considerazione. Basterà, infatti, riflettere sullo svuotamento di significato che termini come questione sociale, lavoro, diritti, sicurezza hanno subito nel dibattito pubblico come anche nelle definizioni contenute nel nostro vocabolario.

Non solo. E’ lo stesso Presidente Mattarella che, in fondo, giustifica la nostra stessa osservazione, attraverso altri due punti del suo messaggio: “Non possiamo vivere nella trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo, che ignora il passato e oscura l’avvenire, così deformando il rapporto con la realtà”. E ancora: “Occorre preparare il domani. Interpretare, e comprendere, le cose nuove”. Dunque, occorre ridare senso anche ai termini succitati, interpretarli correttamente per comprendere le cose nuove di oggi.

Ridare senso, perchè senza senso, senza un orizzonte, è facile percepirsi nella trappola di un eterno presente. Senza senso a nulla serve avere a disposizione una Costituzione, la nostra super cassetta degli attrezzi, come l’ha definita il Presidente della Repubblica.

La questione sociale, ad esempio, può essere ancora letta come conflitto tra classi sociali, così come l’abbiamo vista esordire nella Storia, oppure deve essere interpretata come una lacerazione che si consuma ogni giorno tra le diverse fasce generazionali? I dati Istat sull’occupazione, pubblicati nel mese di novembre 2017, ci narrano che “La crescita dell’occupazione nell’ultimo mese interessa entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enn. Risultano in aumento i dipendenti, sia permanenti sia, in misura maggiore, a tempo determinato, mentre sono in lieve calo gli indipendenti. La diminuzione della disoccupazione interessa donne e uomini e si concentra nelle classi di età più giovani mentre si osserva un aumento tra gli over 35”.

Può un contratto a tempo indeterminato essere stipulato con più facilità a chi si inserisce per la prima volta nel mondo del lavoro, piuttosto che a chi, a motivo anche della crisi, si ritrova ad esserne stato espulso e prova a rientrare? E’ giusto porre la questione in termini generazionali? Da cosa dipenderà tutto questo? Quale forza politica in queste ore sta affrontando seriamente l’argomento? Con quali soluzioni?

Il lavoro? Molto interessante quello che emerge dal film “Il vegetale”, diretto da Mario Nunziante e interpretato da Fabio Rovazzi che veste i panni di un giovane laureato in cerca, appunto, di lavoro.  Per capire quale realtà la pellicola ci consegna non dobbiamo mettere l’accento sul termine “vegetale”, bensì sul nome del protagonista: Fabio. Fabio, giovane laureato, Fabiò, lo stagista scelto dal Presidente di una azienda che, pur lodando i talenti e la forza di volontà del giovane, arriva a proporgli un contratto bizzarro in attesa di nuovi sgravi sull’occupazione, convinto oltretutto di essere magnanime; Fabìo, la concretizzazione di un progetto, il nome scelto dal giovane per la sua azienda, un’azienda agricola che sposa la coltivazione biologica. Tutto in un nome! Il nome del soggetto protagonista.

Le fasi di vita e di realizzazione di una persona tutte concentrate in un nome, in un accento che, messo arbitrariamente al posto sbagliato dal capo dell’azienda ( un brillante Luca Zingaretti), sta ad indicare quello che gli altri possono offrire e ai quali possiamo anche dare il nostro assenso pur di lavorare, e che messo, invece, al posto da noi scelto, può esser espressione della nostra realizzazione, alla quale possiamo e dobbiamo aspirare con un po’ più di coraggio e determinazione.

Diritti e sicurezza. Gli ultimi episodi ci consegnano ancora morti, incidenti sul lavoro, un eterno presente che non passa, che ripropone spesso lo stesso copione dell”avremmo dovuto”, della ricerca del responsabile, del tutti sono colpevoli e pertanto nessuno è colpevole.

In tutto questo siamo capaci di leggere le cose nuove di oggi a cui fa riferimento il Presidente Mattarella? Siamo sempre più inclini a commentare le proposte indecenti delle ultime ore, piuttosto che provare a rispondere a noi stessi e agli autori di questi spot con un sovrappiù di proposte e di pensiero.

Ecco, il pensiero. In queste ore il verbo più ricorrente è uno soltanto: abolire. Attraverso il nostro pensiero proviamo ad abolire, anzi, a neutralizzare tutto quello che offende la nostra intelligenza, sforziamoci di ben interpretare le cose nuove di oggi, senza paura e senza resistenze iutili. Occorre uscire dalla trappola dell’eterno presente ed iniziare a costruire un nuovo orizzonte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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