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mercoledì, Aprile 24, 2024

Periferie esistenziali e disuguaglianze: nel fuoco e nell’acqua

Il fuoco e l’acqua sono i simboli di due poli opposti, sono i termini che utilizziamo per descrivere situazioni, esperienze lontane tra di loro. Eppure, oggi, nell’essere raggiunti da notizie allarmanti, che sono il racconto di vite che si consumano tragicamente nelle “periferie esistenziali”, nel limbo delle disuguaglianze, ci accorgiamo che il fuoco e l’acqua non esprimono mondi così diversi. Continuano ad essere luoghi opposti, accomunati, però, dall’esperienza umana, anzi disumana, della disperazione.

A Torino una donna si dà fuoco, esasperata da un licenziamento (da tutte le conseguenze che esso comporta nella vita di chi lo subisce) e dalla mancata riscossione dell’ indennità di disoccupazione. Prima lo sfogo su Facebook e poi il gesto estremo che, ancora oggi, la tiene sospesa tra il passato e il futuro. Un futuro che certamente sarà ancora più problematico, viste le cicatrici che rimarranno per sempre incise anche nel suo corpo.

Nel Mediterraneo fiumi di persone continuano ad affrontare l’acqua di un mare ignoto, per approdare sulle coste di una terra e di una realtà ancora più ignote. Vita accolta, vita sospesa, vita addirittura giudicata,  seppure non artefice dell’inferno dal quale proviene. Vite umane, comunque, a Torino come nel Mediterraneo.

Risuonano ancora forti le parole che Papa Francesco ha rivolto ai delegati della CISL, all’apertura dei lavori del XVIII congresso: “Sindacato è una bella parola che proviene dal greco syn-dike, cioè “giustizia insieme”. Non c’è giustizia insieme se non è insieme agli esclusi.  Il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato anche perché non lo vede abbastanza lottare nei luoghi dei “diritti del non ancora”: nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro, tra gli immigrati, i poveri, che sono sotto le mura della città; oppure non lo capisce semplicemente perché a volte la corruzione è entrata nel cuore di alcuni sindacalisti. (…) Abitare le periferie può diventare una strategia di azione, una priorità del sindacato di oggi e di domani. Non c’è una buona società senza un buon sindacato, e non c’è un sindacato buono che non rinasca ogni giorno nelle periferie, che non trasformi le pietre scartate dell’economia in pietre angolari”.

Prima del capitalismo è l’uomo stesso ad aver dimenticato il valore della vita e dei legami con il prossimo. E’ improduttivo scagliarsi esclusivamente contro un sistema, se dietro a quel sistema mal funzionante c’è anzitutto un uomo che ha smarrito il senso della sua esistenza e che per tale motivo non tiene in grande considerazione il problema delle disuguaglianze.

La periferia esistenziale non è un luogo che trova collocazione ai margini della società, ma in fondo alla società. E’ uno spazio che noi teniamo schiacciato, in modo da non doverlo neppure vedere o sentire. In un certo senso, la periferia esistenziale potrebbe essere semplicemente la vita con la quale non riusciamo ad entrare in contatto.

Poco importa che sia la nostra o quella degli altri. Ciò che conta, invece, è il coraggio di scendere, di entrare in contatto, di visitare quelle periferie, di guardare da vicino ciò che ci fa paura e che per questo, forse, teniamo lontano. Come fare?

Romano Prodi, accolto con calore dall’assemblea della CISL, ha affermato che “contro le disuguaglianze nel lavoro, serve la necessità della rinascita della politica”. Da più parti si invoca una rinascita, il desiderio di ricostruire, eppure il risultato è una continua frammentazione. Perchè?

Presto detto. Manca il collante che potrebbe e dovrebbe tenere unite le indicazioni per rendere possibile una rinascita: il valore della persona. Nessuna strada potrà essere percorribile se non tornerà al centro questo valore, sganciato, però, dalla logica dei diritti acquisiti, in un mondo in cui il diritto di vivere dignitosamente è il diritto maggiormente negato e l’assunzione di responsabilità il dovere più disconosciuto.

La globalizzazione del pensiero potrebbe non voler dire andare verso un pensiero unico, verso un low intensity thought, ma verso un pensiero che abbracci sempre di più il mondo, fino ai suoi confini. Il valore della persona non potrà essere recuperato se continueremo a vivere il mondo a metà. Nell’altra metà, infatti, quella che lasceremo fuori dal nostro orizzonte, continueranno ad aumentare sia le periferie esistenziali sia le disuguaglianze.

 

 

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