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venerdì, Aprile 19, 2024

Papa Francesco a Genova: cosa resta di un giorno?

Cosa resta di un giorno non qualunque, un giorno in cui Papa Francesco ha incontrato Genova e i genovesi, lasciando un messaggio rilevante sulla questione del lavoro? Parole già conosciute quelle pronunciate dal Pontefice, ascoltate in diverse occasioni, sempre attuali: la dignità del lavoro, il rispetto per la persona, i diritti dei lavoratori, il ricatto sociale, al quale molti cercatori di lavoro sono “costretti” a sottostare, l’imprenditore speculatore, e molto altro ancora.

Niente di nuovo sotto il sole, leggiamo nel Qoèlet. Anzi, di nuovo ci sarebbe qualcosa; un elemento che possiamo intuire con immediatezza se soltanto pensiamo a quello che è l’effetto del sole sulle “cose” che per troppo tempo rimangono ad esso esposte, senza alcuna assistenza: invecchiano, si deteriorano, si scoloriscono.

Ecco, la percezione che si ha in tutta questa concentrazione di messaggi, slogan, principi costituzionali, menu à la carte, che provengono anche dagli esponenti delle diverse parti sociali, è che tutto stia perdendo di significato, e che chi si ritrova a fare i conti con il lavoro che manca o con il lavoro che c’è ma schiavizza sia sempre più solo ed incompreso.

In effetti: come può una realtà complessa come quella che viviamo trovare risposte in soluzioni semplicistiche, che riscuotono un consenso momentaneo e che, pochi secondi dopo, lasciano spazio nuovamente ad un vuoto assordante? Tutti, o molti, sembrano avere in mano la ricetta per farcela. Basta essere generativi o rigenerativi? Okay. E se provassimo per un attimo a scambiare i ruoli? E se chi porta avanti determinate ricette cedesse il suo “posto” a chi è in cerca di un lavoro, e dimostrasse così, una volta dal lato opposto del campo, come lanciare correttamente la palla per riuscire a farla andare in rete?

Prosposte da bandire a parte, i punti da focalizzare sono diversi:

  1. se non si cambiano le regole non può esserci partita per il più debole o per chi vuole provare a farcela;
  2. se la classe politica non cresce moralmente non abbiamo interlocutori a cui spiegare le regole necessarie al cambiamento nè tantomeno attori che possano metterle in piedi;
  3. come ha scritto il prof. Mauro Magatti (segretario del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani) sulle colonne del Corriere della Sera, serve un sindacato lungimirante, ma è pur vero che, se la classe politica non cresce moralmente e se gli imprenditori speculatori aumentano, è difficile esercitare la lungimiranza (con chi scruti l’orizzonte?);
  4. la crescita morale riguarda anche il sindacato, ovviamente, se questo vuole riscoprire il compito affidatogli da Giovanni Paolo II all’indomani della pubblicazione dell’enciclica Centesimus Annus: impegnarsi ancora di più, per evitare che nelle imprese possa regnare l’assoluta prevalenza del capitale sul lavoro e, oggi, in diversi contesti, dell’ideologia, come sottolinea opportunamente il segretario generale della Cisl, Anna Maria Furlan, sul quotidiano La Stampa.

Benedetto XVI ha parlato di via istituzionale della carità. Le istituzioni, nessuna esclusa, cambiano se cambiano le persone. Per cambiare occorre imparare a memoria una parola d’ordine, una password, un mot de passe: fare spazio all’altro. Davvero, però.

E a proposito di spazio, di quella inclusione tanto cara a Papa Francesco, verrebbe da domandarsi come mai, ad esempio, nel Comitato organizzatore delle Settimane Sociali, appuntamento ormai prossimo che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, non sia presente un esponente del mondo dei disoccupati, tanto più che il tema cruciale dei lavori è proprio il lavoro: libero, creativo, partecipativo e solidale. Perchè non è stata presa in considerazione una tale presenza per l’apporto che avrebbe potuto donare dal suo osservatorio “privilegiato”? E poi, a meno che per disoccupato non intendiamo implicitamente un inetto, questi avrà avuto certamente delle competenze fino ad un attimo prima di perdere il lavoro, oppure no?

Mons. Santoro, arcivescovo di Taranto e Presidente del Comitato, ha recentemente affermato su Agensir: “In un cassetto della mia scrivania ho 200 curriculum. Cosa devo farne? A chi consegnarli?”

Che dire? Anzitutto i curriculum non andrebbero consegnati ai vescovi, non possiamo pensare a loro come ad un personale di collocamento lavorativo. Avanziamo, comunque, qualche soluzione: magari qualcuno dei candidati avrebbe potuto far parte del comitato aumentando così la rappresentanza numerica dei laici in seno ad esso! Questa esperienza sarebbe servita ad infondere fiducia in chi si sente, e verosimilmente viene tenuto, ai margini. Chissà!

Tornando al punto principale: cosa denota una scelta che preclude la partecipazione a quel livello di un disoccupato? L’inclusione sociale, tanto cara a Papa Francesco, non passa anche attraverso nuovi modi di vivere la prossimità? La voce dei disoccupati di ogni generazione verrà ascoltata nella preparazione dell’evento e questo avvalora ancora di più la buona fede dell’ipotesi prospettata, ma oramai sfumata.

Fino a quando, comunque, la “questione lavoro” rimarrà nei termini “noi e loro”, non faremo molta strada. Molti, troppi aspetti vanno affrontati. Non è più il tempo delle parole.

 

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