La ricerca delle premesse smarrite mi ha condotto, in queste ultime settimane, a varcare la soglia di un “luogo” che, per la delicatezza e l’intimità di ciò che contiene, non dovrebbe trovare spazio nel curriculum di un candidato e men che meno nei colloqui di lavoro, in fase preassuntiva e a contratto avviato. Mi riferisco alla cosiddetta condizione o stato di bisogno del lavoratore dipendente.
Sono state due recenti sentenze della Cassazione ad attirare la mia attenzione sull’argomento, invitandomi ad osservarlo da angolature diverse:
la n. 24388 del 24 giugno 2022, con la quale la quarta sezione penale della Corte di Cassazione afferma che la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale accompagnata dall’obbligo, comunque, di lavorare a tempo pieno, senza ferie né permessi previsti dalla contrattazione, integra gli estremi del reato di caporalato (delitto istantaneo con effetti permanenti), atteso che il datore di lavoro mette in essere azioni di sfruttamento approfittando dello stato di bisogno del personale;
la n. 28289 del 19 luglio 2022, con la quale la Cassazione afferma che, ai fini dell’integrazione del reato di caporalato di cui all’art. 603 bis c.p., non basta che ricorrano i sintomi dello sfruttamento, ma occorre anche l’abuso della condizione di bisogno in cui versa il dipendente ed il vantaggio che da tale posizione viene volontariamente tratto.
Le due sentenze non si riferiscono a casi conclamati di caporalato in agricoltura, ad esempio, ma alla possibilità di integrazione del reato di caporalato dentro l’ampio mondo del lavoro dipendente.
Al netto delle situazioni in cui il disagio è evidente (mi riferisco al vissuto di chi approda sulle nostre coste e deve iniziare un percorso di integrazione, di chi per ragioni diverse ha perso tutto ed è assistito da associazioni caritative, anche nella ricerca di lavoro), com’è che lo stato di bisogno si inserisce nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente, condizionandolo?
È il datore di lavoro che attiva indagini in tal senso, per valutare le eventuali possibilità di sfruttamento, o è il dipendente che si pone come soggetto bisognoso, che chiede per bisogno quanto deve essergli riconosciuto per diritto?
Certo, ogni giorno siamo bombardati da notizie preoccupanti: il rincaro energetico, la recessione, lo spauracchio della cassa integrazione, la perdita del posto di lavoro, l’aumento della povertà.
Le aziende sanno di muoversi in un tale scenario e sono altresì consapevoli che i candidati e i lavoratori già assunti saranno sempre di più indotti ad avere paura del domani, a sacrificare i loro talenti sull’altare dell’ incertezza e, al contempo, dell’ imminenza.
Incertezza e imminenza: che fare? Anche gli imprenditori non possono essere lasciati da soli. Immaginiamo se rinunciassero a fare impresa, ad investire, e dunque, ad assumere.
E allora, tutto questo per dire cosa?
Il momento è davvero delicato e non abbiamo altra soluzione se non quella di affidare dinamiche più coraggiose e incoraggianti a tempi diversi.
Diversi, non come migliori e appartenenti al domani o, più in generale, al futuro, ma come differenziati. Ognuno di noi, per quanto e come può, già da oggi non rinunci alla sua parte di coraggio e di volontà di cambiamento. Non abdichi o svenda la sua titolarità di cittadino.
Tutto condivisibile, a mio avviso, certezza e dignità del lavoro rientrano sicuramente tra le prime “premesse smarrite” da recuperare👏