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domenica, Marzo 26, 2023

Lavoro e crescita o povertà e lavoro?

Il primo post di questo blog fu dedicato alla povertà, all’emarginazione, all’esclusione. All’epoca, siamo nell’estate del 2016, la riflessione prese spunto da un episodio violento e triste consumatosi nella tendopoli di Rosarno, che portò nuovamente agli onori della cronaca la condizione insostenibile dei braccianti stranieri. Un evento che “servì”, insieme ad altri precedenti, a sollecitare un percorso che portò successivamente all’approvazione della legge contro il caporalato e il lavoro nero in agricoltura. Una legge buona che sta dando dei risultati, sebbene qualcuno si ostini a dire che non funzioni. Non risolve il problema è cosa diversa dall’affermare che una legge non funziona. Le generalizzazioni non sono efficaci e funzionali, specie se al centro vogliamo porre l’interesse generale.

E poichè, almeno in questo spazio, l’intento è proprio quello di porre al centro della riflessione l’interesse generale, non possiamo non ripartire da una domanda: è opportuno continuare a parlare di povertà e lavoro, per scongiurare l’emarginazione e l’esclusione, nelle tendopoli come nelle città, o piuttosto riprendere a discutere di lavoro e crescita?

Può accadere che pur lavorando non siano tante le “cose” di cui un uomo riesce a disporre. In sostanza, nonostante il lavoro, è possibile che egli non riesca a scorgere la crescita. L’orizzonte gli appare vuoto o composto di poche cose. Nonostante il lavoro un uomo può sentirsi manchevole di molto. Per questo vuole e chiede che sia il lavoro a strapparlo da quella condizione di povertà materiale. E’ innegabile: lo strumento efficace contro la povertà è il lavoro.

E poi? E poi, però, dobbiamo anche crescere. Come persone, come comunità, come Paese. Non è sufficiente che l’uomo si metta in salvo, che esca dalla sacche di povertà, per rimanere pur sempre al limite di quella realtà. Ecco perchè il lavoro deve anche far crescere. E’ necessario che si ritorni parlare di lavoro e crescita: per cambiare le regole che impediscono di avere uno stipendio degno, così come recita la nostra Costituzione, perchè chi fa impresa non sia scoraggiato, chi lavora possa essere sicuro, perchè i diritti non siano privilegio di pochi, perchè sappiamo come Paese formare alle nuove professioni, ritornare ad investire, a costruire.

Il lavoro, inteso solo come rimedio alla povertà, racconta di un Paese che ha paura. Di fronte alla paura abbiamo due strade: soccombere e arretrare oppure reagire e cambiare… per crescere.

 

 

 

 

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