Lo sapevate che esiste una categoria di “lavoratori agricoli” che riesce a sfuggire puntualmente alla schiavitù imposta dal caporalato? Incredibile, ma vero! Il virgolettato è d’obbligo, poichè si tratta di una categoria speciale, che addirittura ignora di costituire, alla pari del caporalato cui sfugge, una vera e propria piaga per la società tutta.
Il riferimento è ai falsi braccianti, assunti fittiziamente da imprenditori agricoli, che nei campi non vi hanno mai messo piede, che non conoscono il caldo, l’umiliazione, lo sfruttamento, tutti elementi e condizioni ben conosciute, invece, da quei lavoratori reclutati dai caporali, magari per lavorare al posto di chi risulta assunto sulla carta, piegati dalla stanchezza di ore e ore di raccolto, per un misero stipendio, a volte senza contratto, senza diritto alcuno.
Un’operazione della Guardia di Finanza di Rossano, appena pochi giorni fa, ha accertato l’ennesima truffa ai danni dell’INPS per false assunzioni e false giornate di lavoro da parte di una società che aveva presentato documenti falsi nel 2012, ottenendo così la liquidazione di somme relative a indennità di disoccupazione e malattia, indennità di maternità, e causando un danno complessivo all’Erario di oltre 650mila euro. La storia si ripete e nuovamente svela uno scenario che la nostra regione, e non solo, conosce fin troppo bene. L’ennesimo limbo all’italiana!
Falsi braccianti, gente che appartiene alla stessa terra di molti altri onesti lavoratori agricoli, ma che non la ama, non la coltiva; anzi la deturpa e la impoverisce. Un rapporto insano, falso per l’appunto. Gente che preferisce oziare sotto la cappa dei propri reati, piuttosto che lavorare sotto l’ombra degli alberi, che china la schiena e anche il capo per svuotarsi della propria dignità e non per raccogliere i frutti maturi dei campi.
In questi casi sarebbe d’obbligo ricordare a costoro il primo articolo della nostra Costituzione, che sancisce che “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, sul lavoro vero. Sarebbe pure opportuno ripensare la Giornata del Primo Maggio, ponendo al centro della riflessione, accanto alle condizioni di chi un lavoro non ce l’ha, ai diritti dei lavoratori, le scelte di coloro che, pur indossando la maglia degli onesti cittadini, continuano a rubare risorse e speranza al nostro Paese. In nome di quale diritto, poi? Per adempiere quale dovere?
I falsi braccianti potranno pure sfuggire alla schiavitù che impongono i caporali, ma che ne è della schiavitù imposta dalla menzogna? E la menzogna non può essere paragonata a qualche chilo di troppo facilmente camuffabile con un abito più comodo. No, la menzogna chiama in causa altra menzogna e la connivenza di uomini e donne, operanti in diversi settori, disposte a far parte di un sistema di ruberie, che cresce, cresce, cresce ancora, e alla fine schiaccia, soprattutto i più deboli e indifesi, i poveri, che non sono oggetto di elemosina ma soggetto di diritti lesi cui è urgente fare giustizia.
In ogni caso, pur accertando che i falsi braccianti e i caporali non si incontreranno mai, una domanda sorge spontanea, anzi si impone: com’è possibile che l’INPS, attualmente incaricato di presiedere la Cabina di Regia che delibera sulle domade di iscrizione delle imprese all’organismo della Rete per il lavoro agricolo di qualità (messo in campo nella lotta contro il caporalato), possa continuare ad essere truffato? Quale garanzia, a questo punto, abbiamo che lo strumento della Rete funzioni, se la scoperta di truffe ai danni dell’INPS mette in luce delle falle in tutto il sistema?