Ogni giorno siamo invasi da dati statistici relativi all’andamento dell’economia, dell’occupazione, alla fuga degli italiani all’estero. Tuttavia la vita di un Paese non può essere racconta da numeri freddi e inanimati, bensì dalla vita delle persone che lo abitano o che per diverse ragioni se ne allontanano. La voce di un italiano, *Giorgio Castellacci, il racconto di un’esperienza personale che, seppur non facile, è stata vissuta in ascolto di numerose altre esperienze, infrange la cortina del reality show e ci introduce nella realtà.
Ho letto i dati recentemente pubblicati dalla Fondazione Migrantes sugli italiani all’estero. Numeri, statistiche, percentuali su fasce di età, provenienza geografica, titoli di studio.
Io ho conosciuto alcuni di quei numeri. Sono stato uno di quei numeri. Ho vissuto e lavorato a Londra per quasi due anni. Dunque io non vorrei parlare di numeri, ma di persone.
Lavoravo al Victoria & Albert Museum. Prima, per la stessa società inglese, avevo pure lavorato per un paio di mesi al Museo delle Scienze. Non saprei dire quanti fossero i lavoratori italiani che ho incontrato in quei due musei. Personalmente ne ho conosciuti almeno una ventina. Ma quei musei sono davvero grandi ed è molto probabile che siano più numerosi gli italiani che ci lavorano che non ho mai incontrato, rispetto a quelli che ho potuto conoscere di persona.
Ricordo di aver letto in quel periodo, sarà stato lo scorso marzo, un articolo su “La Stampa” che già allora parlava di circa 250 mila italiani trasferiti a Londra per ragioni di lavoro. Il giornalista ragionando sui numeri di questa continua emorragia di risorse umane, aveva utilizzato un’immagine che mi era sembrata particolarmente efficace. Aveva scritto “è un po’ come se l’intera popolazione di Verona fosse improvvisamente sparita dall’Italia per ricomparire a Londra”.
In effetti di veneti ne ho conosciuti parecchi, ma devo dire che, in realtà, in quei due musei dove lavoravo ed in giro per Londra erano ben rappresentate tutte le regioni italiane.
Ho conosciuto Alberto, un entomologo che in Italia non era riuscito a portare avanti le ricerche e gli studi che avrebbe voluto fare. Quando mi spiegava argomenti scientifici complessi, riusciva a farlo usando parole semplici e chiare e i suoi occhi brillavano di una luce speciale.
A Londra era letteralmente rinato. Era stato assunto come ricercatore dal Natural History Musem sulla base dei sui titoli accademici, delle ricerche e pubblicazioni scientifiche che aveva fatto e dopo aver svolto alcuni colloqui selettivi con il Museo inglese via “skype”. Alberto è un uomo di mezza età, sposato e con figli già grandicelli. Ma quando mi parlava del suo nuovo ambiente di lavoro e della sua attività scientifica al Natural History Musem lo faceva con lo stesso entusiasmo che può avere un bambino che visita Disneyland per la prima volta nella sua vita.
Nel museo dove lavoravo io, invece, mi ricordo molto bene di Antimo.
Antimo è un musicista campano con cui ho quasi subito stretto un bel rapporto. All’inizio pensavo dipendesse dalla nostra comune passione per il jazz e da quell’aria sorniona e di genuina umanità partenopea che emana dalla sua persona. La mia tuttavia era una valutazione riduttiva.
Antimo suonava e tuttora suona il pianoforte a coda sistemato nel centro della “Gamble Room”, forse la sala più bella del Victoria & Albert Museum. Un giorno mi volle raccontare la sua storia e di come avesse deciso di trasferirsi a Londra. Dopo aver preso il diploma al conservatorio, aveva cominciato a suonare il pianoforte nelle navi da crociera. Era riuscito a mettere insieme le due grandi passioni della sua vita: suonare e viaggiare.
Lo aveva fatto per molti anni. Il capodanno a Montecarlo, il ferragosto a Mykonos, sempre in giro per il mondo, con un pianoforte e la sua musica da suonare. Il suo ultimo concerto sulle navi da crociera lo fece un venerdì, in acque territoriali italiane, la sera del 13 gennaio 2012. Si concluse alle 21:45 circa, quando la nave “Concordia”, comandata da un certo Francesco Schettino urtò gli scogli dell’isola del Giglio e cominciò ad inclinarsi su un fianco.
In quel momento Antimo perse tutto, tranne la vita. Mi pare che avesse gli occhi un po’ lucidi quando finì il suo racconto. Eppure lo ricordo come una delle persone più sorridenti e simpatiche che abbia mai conosciuto.
In quello stesso mese di marzo il Victoria & Albert Museum allestì una mostra dedicata al Botticelli: il titolo era “Botticelli Reimagined ”. Erano attese per l’evento molte autorità del governo italiano, tra cui il Ministro dell’Economia Padoan. Io ho immaginato di incontrare il Ministro e fantasticato sulle parole più efficaci da usare per spiegargli i miei 250 mila dubbi sull’efficacia del Jobs Act.
Ma mentre Antimo suonava al piano “Georgia on my mind ” a me veniva in mente solo lui, il mio amico pianista aggrappato ad una fune sulla fiancata della Concordia per non scivolare in mare.
Antimo quel giorno aveva la sua solita aria sorniona. Sembrava solo un po’ più malinconico del solito mentre suonava. Ma quella, forse, era solo una mia impressione.
*Giorgio Castellacci, 52 anni, calabrese, ha frequentato l’Università di Bologna laureandosi in Giurisprudenza. In quella stessa città ha svolto per circa 20 anni la professione di avvocato nel settore civilistico, occupandosi di questioni di diritto commerciale e di diritto del lavoro.
Nel 2014 si è trasferito a Londra per alcune nuove opportunità professionali e lì ha vissuto per circa due anni. L’esperienza in Gran Bretagna, oltre ad essere stata utile per il miglioramento della lingua inglese, ha rappresentato un’importante occasione per conoscere contesti produttivi diversi e fare esperienze in ambienti economici particolarmente stimolanti ed innovativi.
Rientrato in Italia porta avanti alcune collaborazioni già avviate nel Regno Unito.