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venerdì, Aprile 19, 2024

Dopo tre anni credo ancora che…

Il tre non è un numero magico, come ci suggeriva qualche tempo fa lo spot pubblicitario di una compagnia telefonica. Non è magico ma è comunque un numero importante. Certamente lo è, per me, in questo anniversario. Più scrivo e più divento me stessa. Scrivere vuol dire dare sfogo al proprio cuore senza distruggere gli argini necessari a contenere ciò di cui il mondo non ha bisogno, ossia la rabbia, il sospetto, la stanchezza.

Dopo tre anni di attività del blog credo ancora che:

  • la verità non si trovi sotto il fango che viene raccolto per essere scaraventato addosso all’ avversario di turno;
  • gli ottimisti non siano persone che non hanno conosciuto il dolore, la fatica, l’ ingiustizia;
  • che serva una vera inversione per il Mezzogiorno, un agire attraverso una politica industriale che non punti solamente a sostenere le eccellenze, ma che sia finalizzata a consolidare il sistema; in uno sviluppo dell’apparato industriale meridionale, anche attraverso l’attrazione di investimenti esterni all’area, attualmente frenata da una serie di fattori, tra cui la scarsa accessibilità ( in termini di posizionamento geografico e di disponibilità di infrastrutture e di servizi di trasporto e logistici), la rarefazione del tessuto imprenditoriale, la presenza della criminalità (SVIMEZ);
  • gli articoli 1, 4 e 41 della Costituzione Italiana siano necessariamente complementari;
  • nessuna contrapposizione di programmi o partitica possa avere come campo di scontro la pelle delle persone, la vita di un Paese.
  • lo strumento efficace contro la povertà sia il lavoro;
  • non sia sufficiente che l’uomo si metta in salvo, che esca dalla sacche di povertà, per rimanere pur sempre al limite di quella realtà. Il lavoro deve anche far crescere. E’ necessario che si ritorni parlare di lavoro e crescita: per cambiare le regole che impediscono di avere uno stipendio degno, così come recita la nostra Costituzione, perchè chi fa impresa non sia scoraggiato, chi lavora possa essere sicuro, perchè i diritti non siano privilegio di pochi, perchè sappiamo come Paese formare alle nuove professioni, ritornare ad investire, a costruire;
  • una nuova cultura del lavoro, perché sia degna di questo nome, non debba “giocarsi” solo all’interno della realtà aziendale; dovrebbe semmai essere giocata nel mondo. Se il mondo del lavoro deve essere più flessibile, tutto il restante contesto dovrebbe “adeguarsi” a questa flessibilità. Come, infatti, un imprenditore deve essere agevolato nel suo “fare impresa”, per il nobile fine di creare occupazione, così un lavoratore, definito a motivo del suo contratto, e non per il suo essere, un precario, dovrebbe essere agevolato nella sua condizione, per il nobile fine di poter spendere il frutto del suo lavoro e far girare così  l’economia;
  • dovremmo imparare a sentire nella nostra carne le ferite inferte all’uomo dall’ingiustizia sociale, per difenderlo e aiutarlo a riconquistare il suo posto nella società;
  • investire nella formazione delle nuove generazioni sia fondamentale. I temi della custodia e del rispetto della propria vita e della vita altrui, e quindi della sicurezza sul lavoro, del lavoro sicuro, sono quanto mai cruciali per i giovani, soprattutto oggi;
  • più che di lavoro libero dovremmo parlare di lavoro liberante: dalla pigrizia prima che dalla povertà; dalla povertà morale prima che da quella materiale; dal lassismo prima che dalla inoccupazione;
  • a motivo di un individualismo esasperato, di un senso di onnipotenza cresciuto su un letto di vigliaccheria, ogni professione, ogni lavoro, dal più umile al più rilevante, sganciandosi dal ruolo che lo contraddistingue,  possa svuotarsi di senso;
  • l’Italia non sia soltanto la Nazione dalla quale i cervelli fuggono per cercare altrove “collocazione” adeguata, ma anche il Paese dove le persone più competenti, quelle che provano a mettere in campo tutte le forze necessarie per servire il bene comune, vengono messe all’angolo, condannate ad un esilio insopportabile, da scontare paradossalmente nella propria terra;
  • «la corruzione, male che inquina le fondamenta del vivere civile, vada avversata senza equivoci o timidezze. Combattere la corruzione è un impegno di sistema, di tutte le istituzioni pubbliche e, al contempo, è compito che appartiene a ciascun individuo, alle organizzazioni economiche e sociali»;
  • gli innumerevoli delibatori del disagio occupazionale, oltre a trattare in maniera superficiale il problema della disoccupazione, gravitino intorno a questo mondo per assaggiare, gustare quanto di buono e di proficuo questo mondo può garantire in termini di potere e di assoggettamento dei più deboli;
  • le lavoratrici madri vivano grandi conflitti interiori, continuamente in bilico tra cosa sia più giusto fare per il bene dei figli: vivere il presente dedicando più tempo, più ascolto, più attenzioni, oppure, rimanere ancorate al presente ma proiettate verso il futuro che saranno in grado di offrire lavorando tanto, di più, oggi? Mantenere un equilibrio tra questi due differenti modi di sentire dipende inevitabilmente dall’equilibrismo a cui le madri sono sottoposte oggi;
  • in questo particolare momento storico la strada maestra non possa che essere il dialogo, all’interno di un conflitto correttamente inteso. Un dialogo dai toni bassi, ma veri, al quale è chiamata la politica, tutte le parti sociali, che confluisca necessariamente in una sintesi e in un obiettivo comune: fare, o quantomeno provare a fare, il bene del Paese.

Credo in questo e in molto altro ancora.

Soprattutto credo nell’impegno e che ogni piccolo segno, come questo, possa fare la differenza.

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