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martedì, Aprile 23, 2024

Velocità, rumore, solitudine

La parola sulla quale questa sera provo a riflettere è velocità.

Il riferimento non è ai ritmi frenetici delle nostre giornate, bensì alla facilità con la quale entriamo in contatto con elementi dannosi per la nostra vita. Oggi abbiamo paura di contrarre il virus COVID_19, ma poca attenzione, probabilmente, prestiamo ad altri virus cui siamo esposti quotidianamente: ignoranza, pessimismo, arroganza, vigliaccheria, menefreghismo.

L’elenco di tutto quello che ci investe ogni giorno è davvero molto nutrito e non sempre le nostre difese immunitarie sono abbastanza forti da farci scongiurare il contagio.

A volte neppure ci accorgiamo di essere stati contagiati. Ci abituiamo anche a convivere con il nostro malessere, senza scomodarci ad indagare cos’è che realmente lo provochi. Allora apriamo piccole finestre intorno a noi dalle quali fare entrare un po’ di luce, quel tanto che basta per stare bene, o meglio, per vivere in penombra, per sopravvivere, per non essere contagiati dalla vita vera, quella che chiede davvero un esercizio coraggioso della nostra libertà.

“Non riesco a fare a meno oramai, di quel bellissimo rumore che fai”, canta Diodato, il vincitore del Festival della canzone italiana. L’autore rivolge i versi della sua canzone all’amata. Io li prendo in prestito per ringraziare il mio cuore per tutte le volte che con il suo rumore mi rimprovera qualcosa e mi riconduce a me stessa. Per ascoltare il rumore, però, dobbiamo anche imparare a conoscere il vero significato della solitudine.

«La solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice». (José Saramago, “L’anno della morte di Ricardo Reis”).

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