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venerdì, Marzo 29, 2024

SVIMEZ 2016: si fa presto a dire crescita?

Abbiamo liquidato troppo in fretta le anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2016? Cosa intendiamo per processo di “ristrutturazione alla rovescia”? Il downgrading delle qualifiche e la mancanza di brain exchange costituiscono una miscela esplosiva che rischia di affossare ancora di più il Sud nel pantano in cui si trova? E la crescita? The Job Enquirer accoglie in merito il prezioso intervento di Giovanni Castiglioni, Ph.D, Dipartimento di Sociologia, Centro di Ricerca WWELL, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

Il Rapporto SVIMEZ certifica che dal 2008 la struttura dell’occupazione italiana per gruppi professionali si è sensibilmente modificata con un relativo downgrading delle qualifiche. Le professioni cognitive altamente qualificate hanno subito un forte calo in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno, dove ha pesato, tra gli altri fattori, la tendenza del sistema produttivo a mantenere la competitività più attraverso l’abbattimento dei costi che mediante la crescita della produttività con l’innovazione tecnologica. Perchè questo processo viene definito “ristrutturazione alla rovescia”? Quali sono le professioni più colpite?

Il processo di “ristrutturazione alla rovescia” dall’inizio degli anni Duemila ha interessato tutta la struttura occupazionale del nostro Paese: ciò è stato messo in luce anche dalle più recenti ricerche del Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) che hanno infatti mostrato come, nei prossimi anni, si verificherà un rallentamento delle opportunità di lavoro con riferimento alle professioni che richiedono competenze di livello medio a fronte di una più marcata tendenza alla polarizzazione, cioè a un incremento delle professioni sia a maggiore sia a minore intensità di competenze. Questo fenomeno è avvenuto negli anni antecedenti alla crisi dando vita a una cosiddetta “polarizzazione delle occupazioni”. Come ben evidenziano Reyneri e Pintaldi nel loro libro – “Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi” (ed. Il Mulino) – con l’avvento della crisi economica, a livello europeo, si è successivamente verificata la cosiddetta “polarizzazione asimmetrica” che ha visto per l’appunto un forte aumento delle professioni intellettuali e un decremento delle occupazioni manuali meno qualificate. In Italia si è creata però una situazione analoga a quella dei paesi quali Irlanda, Grecia e Spagna dove è avvenuta una marcata riduzione delle professioni high skill e la flessione degli occupati in professioni qualificate è andata di pari passo con l’aumento delle occupazioni elementari. Il nostro Paese, dal 2008, è tra i pochi in cui sia le professioni intellettuali sia quelle tecniche sono diminuite, mentre sono cresciute le occupazioni low skill.

Nonostante siano aumentati i dipendenti a tempo indeterminato, grazie anche ai provvedimenti previsti dal Jobs Act, il maggiore contributo alla ripresa occupazionale nel Mezzogiorno è stato dato dai contratti a termine (+ 56 mila pari al + 7,4{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544}). Le agevolazioni previste dal Jobs Act non sono riuscite a modificare, però, il comportamento delle imprese che tendono a privilegiare, come prima forma di assunzione, l’occupazione a termine e quella atipica. A cosa è dovuto, a Suo avviso, il consolidamento di questa tendenza da parte delle imprese?

Bisogna tenere conto che l’economia del Sud Italia ha un elevato livello di stagionalità rispetto ad altre aree del nostro Paese: questo fenomeno, di conseguenza, comporta un aumento della domanda di lavoro da parte delle imprese in alcune parti dell’anno, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo. Il Rapporto Istat 2016 ha messo in evidenza che tra i 30 e i 34 anni la quota di lavoratori temporanei è cresciuta di 6 punti percentuali per gli uomini e di 5 per le donne: questa tendenza è presente anche a livello nazionale per alcune fasce d’età. Se si tengono in considerazione tutte le classi di età, l’incidenza del lavoro a termine è maggiore tra le donne, anche se il divario si va assottigliando a sfavore degli uomini. Negli ultimi anni l’Italia ha inoltre perso una “fetta” di lavoro industriale: se in una determinata area l’economia rimane legata a certi comparti senza prospettive di cambiamento e innovazione, il rischio è che non si riesca a dare un orizzonte di lungo termine alla forza lavoro.

Incremento di domanda di lavoro, specialmente qualificata, e riduzione degli squilibri strutturali del mercato del lavoro possono fornire, secondo Svimez, la risposta adeguata alla persistente emergenza economica. Possiamo provare a fare qualche esempio concreto in merito a queste due direttrici indicate nel Rapporto?

La qualità della domanda di lavoro poco qualificata e le differenze tra Nord e Sud sono due delle anomalie che caratterizzano il mercato del lavoro italiano rispetto a quelli degli altri stati europei. Le stesse disuguaglianze territoriali tradizionalmente presenti in Italia si sono inoltre accentuate con la crisi economica. Indagini sui fabbisogni professionali e politiche del lavoro che riescano a intercettare i reali bisogni dei territori possono essere una ricetta per trovare risposte adeguate ai contesti socio-economici locali. Tutto ciò esige un investimento che richiede anche un adeguamento dei percorsi formativi rispetto alle potenzialità delle economie territoriali attraverso un dialogo costante tra le agenzie educative e le imprese.

Nonostante lamentiamo spesso la presenza di troppi vincoli, che impediscono all’economia di ripartire, assistiamo alla determinazione, per alcuni provvedimenti, di altri “limiti”, come la suddivisione per fasce d’età? Anzichè liberare la creatività che, per fortuna, non ha età ed è una risorsa, perchè la incateniamo?

Richard Florida sostiene che la creatività sarà il motore fondamentale della crescita economica nel XXI secolo: questa è una sfida che l’Italia deve essere in grado di cogliere se vuole crescere. La creatività è parte integrante del sistema della conoscenza che contribuisce allo sviluppo dei territori: viviamo in un Paese che ha moltissime potenzialità, pensiamo, ad esempio, alla nostra storia, alla nostra cultura, ai nostri beni culturali. La creatività “libera” l’innovazione: “incatenare” la creatività significa frenare i processi di sviluppo e, allo stesso tempo, “bloccare” la potenzialità di fare impresa in specifici settori. La crescita dell’economia attraverso produzioni creative dell’economia della conoscenza sconta ancora i vincoli legati all’età e al genere, senza escludere quelli territoriali. È fondamentale un cambiamento rispetto alla “cultura del lavoro” che permetta di ripensare l’esperienza professionale in base alle proposte e alle idee che la caratterizzano e non rispetto a vincoli predefiniti.

Secondo i dati delle Camere di Commercio d’Italia aggiornati al 1 agosto, le società calabresi iscritte alla sezione delle startup innovative sono 139, su un totale di 6097 distribuite sul territorio nazionale. E’ una percentuale di incidenza davvero bassa, tanto che anche nel Rapporto Svimez il pericolo della non “contaminazione” positiva del sistema produttivo da parte delle startup innovative è dovuta proprio al loro numero esiguo.

Se confrontiamo tale dato con il resto d’Italia emerge una disuguaglianza significativa tra Nord e Sud: la sola provincia di Milano ospita il 14,7{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544} del totale delle startup a livello nazionale. È vero, c’è un pericolo di “non contaminazione” che va nella direzione opposta all’idea di sharing economy (economia collaborativa). A livello locale andrebbero quindi incrementate le risorse disponibili che siano in grado di aumentare la competitività delle aziende presenti sul territorio in una logica che favorisca la possibilità di fare rete tra gli investitori e le idee imprenditoriali.

Nel Rapporto SVIMEZ 2016 si parla con preoccupazione della continua emigrazione di capitale umano dal Mezzogiorno verso altre aree e della mancanza di brain exchange, cioè della capacità non tanto di trattenere, ma di attrarre. Downgrading delle qualifiche e mancanza di brain exchange rappresentano una miscela esplosiva che rischia di affossare ancora di più il Sud nel pantano in cui si trova?

Sulle tematiche relative al brain drain e alla mancanza di brain exchange si sono aperti moltissimi dibattiti negli ultimi anni. Restare o rimanere? Questo è il dilemma. Ho incontrato miei coetanei in Italia e all’estero, ciascuno con la sua storia: alcuni hanno deciso lasciare l’Italia o la regione di provenienza ma c’è comunque chi ha deciso di rimanere o di tornare nella propria terra. L’esperienza di studio o lavoro in un’altra parte d’Italia o fuori dai confini nazionali permette di confrontarsi con differenti realtà e ricevere stimoli: il passaggio successivo è comprendere se si hanno le possibilità di mettersi in gioco di fronte alle molteplici difficoltà che le giovani generazioni incontrano. Un esempio è quello dell’associazione NarteA di Napoli, fondata da Erika Quercia, under 35, che attraverso un connubio tra cultura, territorio e storia propone visite guidate teatralizzate nella città partenopea con uno staff composto da giovani professionisti. In questo caso, come in altri, la passione però non basta, conta l’idea ma soprattutto la capacità di fare impresa all’interno di un contesto dove i competitor non mancano, anzi, valorizzando le competenze di coloro con cui si lavora quotidianamente. La sfida è quella di cogliere le potenzialità di un territorio, anche se in apparenza esso può sembrare privo di opportunità.

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