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mercoledì, Aprile 24, 2024

Quelle dimissioni da revocare per il bene del Paese

La lettera di dimissioni della dottoressa Ilaria Capua, indirizzata a Montecitorio, giunge a noi come un sonoro schiaffo, con l’obiettivo di destarci da una sorta di torpore che ci sta schiacciando sempre di più al suolo. Affermare che siamo abbastanza assuefatti da vicende giudiziarie risoltesi con un nulla di fatto, constatare che queste abbiano comunque coinvolto la vita di centinaia di persone innocenti, distrutto carriere professionali, diviso famiglie, senza che alcuno abbia poi pagato il conto dei propri errori, non equivale ad essere ingiusti detrattori della verità. L’ennesimo caso è quello della dottoressa Capua, appunto, una lavoratrice.

A chi rivolgere un messaggio in queste ore e soprattutto quale elemento sviscerare perchè possa fare la differenza, come utilità, nella miriade di commenti, anche retorici, che si stanno susseguendo in queste ore?

Il messaggio dovrebbe essere rivolto soprattutto ai deputati che hanno accolto le dimissioni della collega Capua. Non sarebbe stato opportuno respingere le dimissioni di una innocente, di una lavoratrice seria, competente? Sarebbe stato un segnale per dire: vogliamo essere un Paese migliore, che non ha paura di rispondere dei propri errori di fronte alla Giustizia, ma che non può lasciare che gli errori di altri, seppur commessi in buona fede, decidano della nostra vita, del nostro impegno, della nostra credibilità.

L’elemento che dovrebbe emergere, anche alla luce di quanto sta accadendo a Roma, a proposito della difficoltà di individuare un Assessore al Bilancio che accetti di ricoprire l’incarico, è la paura.

La dottoressa Capua ha affermato che è suo dovere proteggere i suoi cari dalla tempesta che si è abbattuta su di lei. Alla luce di questa affermazione non possiamo negare come sia difficile oggi per le persone perbene, serie, accettare incarichi di responsabilità per quella maledetta paura di cadere, in qualche modo, vittime di errori giudiziari e/o di minestroni mediatici, che non lasciano scampo e che destinano ad una solitudine sociale ingiusta e difficile da sopportare per se stessi e per i propri cari. Tutto questo dovrebbe far tremare noi, gente comune, ma in particolare modo tutte le Autorità del Paese, che dovrebbero scoraggiare le intenzioni malevole, non quelle benevole. Non possiamo accettare che per le ragioni appena menzionate, pur rispettabilissime, gli incarichi di responsabilità siano via via ricoperti da chi non teme nulla, dal momento che ha cessato di temere la propria coscienza.

Una persona perbene non può lasciare che il leit motiv della sua vita sia: chi me lo fa fare? Siamo tutti debitori nei confronti delle nostre famiglie, di chi ci vuole bene, di chi ha creduto in noi, ma siamo soprattutto debitori nei confronti dell’umanità che ci ha preceduto e che ha combattuto determinate battaglie, con dolore, perchè tutto ha un costo. Senza quelle battaglie, oggi, tutti noi saremmo più poveri. E le battaglie non sono finite, credo che su questo punto non ci siano dissensi. Non è sufficiente diffondere e moltiplicare citazioni di uomini e donne che hanno combattuto per il loro impegno, anche a rischio di non essere compresi dai propri cari, se poi quelle testimonianze non interpellano la nostra vita.

No, il leit motiv della vita delle persone perbene deve essere: e io, dove sono? Quale contributo sto offrendo? Posso forse permettermi di voltare le pagine della Storia senza averle dapprima scritte con l’inchiostro indelebile del mio impegno? Ovvio che in questo impegno nessun uomo deve essere lasciato solo.

L’ Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, lo ripetiamo spesso. Occorre ricordare, però, per avere una visione maggiormente inclusiva della società, che il lavoro non è solo quello retribuito, che catapulta automaticamente il cittadino nella categoria degli occupati. Il lavoro è fatica e esercizio, è impegno intellettuale e di studio, di formazione, per far progredire il nostro Paese e migliorare, così, la nostra sorte e quella delle future generazioni. Non è contemplata alcuna disoccupazione per questo lavoro.

Sono disponibili 20 giorni per presentare i ricorsi alle dimissioni, lo ha ricordato l’onorevole Giachetti. La speranza è che ne vengano presentati molti e che questa vicenda possa concludersi con un ritorno, e non con un duplice abbandono: quello della Capua nei confronti del suo Paese e quello del Paese nei confronti di una sua cittadina.

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