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venerdì, Aprile 19, 2024

Povertà: Italia rentier e usura

Il rapporto Istat su “Condizioni di vita e reddito” non dà scampo. Il flagello della povertà aleggia pesantemente sulle nostre teste e con esso quello dell’esclusione sociale. La condizione del Mezzogiorno peggiora, tanto che “nel 2015 la stima delle persone coinvolte sale al 46,4{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544}, dal 45,6{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544} dell’anno precedente”. La povertà è in aumento anche al Centro, anche se con un impatto inferiore, mentre al Nord diminuisce timidamente. Perchè tanta povertà?

Il 50° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato qualche giorno fa nella sede del CNEL, fornisce un dato interessante:

“Rispetto al 2007, dall’inizio della crisi, gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l’Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna. Quasi il 36{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544} degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544} degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Emerge un’ Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia”.

In poche parole: si produce ricchezza ma non viene investita. Probabilmente, a causa della crisi, in molti provano a recuperare quanto hanno perduto; lo fanno con maggiore avidità perchè hanno provato la paura della “perdita” o perchè l’incertezza del futuro fa paura e basta. Se da un lato, però, prendiamo atto del dato offerto dal Rapporto del Censis, dall’altro non possiamo ignorare un ulteriore dato allarmante che un altro istituto di ricerca, l’Eurispes, fornisce: a fronte di una ricchezza che non viene investita per essere ridistribuita vi è una ricchezza che viene investita per affamare chi si trova, per diverse ragioni, in condizioni di difficoltà. Si tratta della ricchezza prodotta dall’ usura (82 miliardi all’anno di fatturato), un’attività criminale che colpisce famiglie, imprese commerciali, artigianali.

Prima che il tema “povertà” diventi una bandiera in mano ai diversi partiti politici, soprattutto adesso che soffia impetuoso il vento delle elezioni politiche, prima che il disagio sociale sfugga definitivamente ad una soluzione politica, non possiamo non incrociare i dati che emergono dai differenti rapporti, per esaminarli a 360 gradi, per leggere i dati oltre i dati stessi. Qualcosa non torna, inutile negarlo.

Partendo dal presupposto che la ricchezza non va demonizzata, occorre capire però, da dove proviene esattamente quella ricchezza, dal momento che i dati Istat ci inchiodano ad una realtà intrisa di povertà. Se è chiaro che la ricchezza prodotta dagli investimenti dei cravattari sia di dubbia provenienza e che sia macchiata di rapina e omicidio, non è altrettanto chiaro quale sia la provenienza di tutte quelle risorse che gli italiani avrebbero accantonato, come risulta dal Rapporto del Censis. E’ possibile che siano risorse tolte a chi ne aveva diritto? Stipendi non retribuiti per intero o per nulla ai dipendenti, irregolarità contrattuali, fatture non corrisposte, pensiamo soltanto alla condizione in cui versano i liberi professionisti, specie sul nostro territorio della Locride (che nonostante tutto non riesce a vincere il suo orgoglio e a rinunciare al suo imborghesimento), pagati con prodotti naturali (pane, pasta, dolci)  o addirittura ignorati.

Non dimentichiamo che nel nome della crisi si sono compiute e si stanno compiendo nefandezze nel mondo del lavoro, sempre a danno del più debole.

Non si tratta di fare i conti in tasca alle persone, assolutamente no. E’ chiaro, però, che è necessario capire se quella ricchezza accumulata e non investita sia in qualche modo collegata allo stato di disagio, di povertà, che può provocare il ricorso, mai giustificato, all’usura. Va detto che molte persone cadono vittime nelle mani degli usurai per la smania di vivere al di sopra delle proprie possibilità, ma questa tendenza evidenzia comunque disagio e povertà morale. Già il monito dei Padri della Chiesa era rivolto a chi praticava l’usura e a chi ricorreva ad essa per ragioni di opportunismo sociale, per godere di un vantaggio economico e di prestigio che potesse più facilmente aprire le porte della società del tempo. Il mondo delle apparenze e della vanità non tramonta, purtroppo.

Il dato Istat sulla povertà, al di là del tentativo di lettura umilmente proposto, rimane inequivocabile.  Se l’Italia vuole davvero cambiare non può non ripartire da questa frontiera, ovviamente non con misure “una tantum”.

 

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