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venerdì, Marzo 29, 2024

Perché presti il tuo nome?

Che cos’è un nome? L’immagine che viene subito in mente è quella di due genitori che, in attesa del proprio figlio, parlano, discutono della scelta del nome da dare, che lo accompagnerà per tutta la vita. Attimi di gioia, di speranza, anche di scontro, laddove le tradizioni familiari imporrebbero schemi rigidi da osservare nel “rispetto” degli avi.

E poi, ancora, altre immagini: la maestra che chiama per nome, per una interrogazione o per un complimento, la voce di una madre o di un padre che donano il dolce saluto della buonanotte o per raccomandare di andare piano con la macchina o con la moto, o comunque di tornare presto a casa. E come non ricordare compagni di gioco che ci chiamano per nome in spiaggia, su un campo da calcio o scorrazzando in bicicletta! È bello sentirsi chiamare per nome. È bello chiamare gli altri per nome. È bello riconoscersi nel volto dell’altro e rispettarne i tratti diversi dal nostro. Il riconoscimento non è altro che la consapevolezza di un’altra vita che ho di fronte a me e che è tutta da accogliere e da rispettare, non da condizionare, specie se in peggio.

Perché un uomo o una donna prestano il proprio nome per attività illecite?

Vincenzo Perna, Funzionario dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in servizio presso la Sede di Brescia, ha curato nei mesi scorsi una interessante pubblicazione per la Rivista Lavoro@Confronto, espressione del preziosissimo contributo della Fondazione Prof. Massimo D’Antona onlus.

Il tema affrontato dal Dott. Perna “L’evoluzione dei fenomeni di sfruttamento della manodopera nel mercato del lavoro italiano” è ad alta intensità, a motivo delle premesse che richiama attraverso un’attenta lettura.

“Nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto a seguito della crisi economica verificatasi fra il 2007 ed il 2013, si sono sviluppati nel mercato del lavoro italiano fenomeni di sfruttamento della manodopera sempre più complessi e sofisticati con gravi ripercussioni sociali ed economiche. Gruppi di imprenditori operanti in Italia ed all’estero nei settori dell’edilizia, dell’industria metalmeccanica e della logistica, si avvalgono sempre più spesso di società di comodo collegate fra loro per realizzare una pluralità di finalità illecite. Le società di comodo sono soggetti giuridici privi di un’effettiva struttura imprenditoriale intestati ad un prestanome e di fatto gestiti da vere e proprie organizzazioni criminali. (…) La realizzazione delle finalità illecite sopra descritte avviene con il contributo determinante di prestanome, intermediari e professionisti abilitati ad effettuare gli adempimenti fiscali e contributivi. (…) Alla luce delle considerazioni sopra esposte si può concludere che, in alcuni settori strategici dell’economia italiana, lo sfruttamento della manodopera, le violazioni prevenzionistiche, i reati di truffa ai danni degli enti previdenziali e di emissione di fatture per operazioni inesistenti, convergono in un disegno criminoso unitario. Gli imprenditori che si avvalgono delle società di comodo riescono quindi ad ottenere un tale vantaggio competitivo da alterare in maniera significativa gli equilibri di mercato.

L’articolo merita la lettura integrale, ovviamente. Ho voluto, però, focalizzare il punto sul quale poggia un sistema tossico per tutta la società e il mercato del lavoro: il prestanome. A fronte di tutti gli apparati messi in piedi dalla criminalità, e non solo, il prestanome sembrerebbe l’elemento debole della catena, il più insignificante, soprattutto nei casi in cui egli è solo uno strumento passivo per rendere possibile la realizzazione di un progetto illecito. Eppure non è così. È comunque e sempre la conditio sine qua non.

Perché lasciare che qualcuno mortifichi la portata del nostro essere persona, condizionando la nostra vita e il nostro futuro? Per non parlare della vita e del futuro degli altri che, grazie ad un sì condizionato e condizionante, pagano un prezzo altrettanto caro in termini di sopraffazione, violenza, diritti negati?

Il nome è importante. È sufficiente che qualcuno pensi a noi grazie al nostro nome, perché abbia chiaro chi siamo, nella nostra personalità. Prestare il nome dietro lauto compenso, e poi? Destinazione? Obiettivi per la vita? Il nostro nome a margine di documenti e contratti, scritto con un inchiostro fatto di lacrime e ingiustizia?

Vincenzo Perna conclude il suo articolo auspicando una strada per incidere sui fatti da lui descritti:

La conoscenza di questi fenomeni, la capacità di elaborare una nuova strategia di contrasto con le necessarie risorse umane e materiali, consentirebbe all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, agenzia nata per esercitare le funzioni ispettive precedentemente assegnate al Ministero del Lavoro, all’INPS, ed all’INAIL, di assumere un ruolo centrale fra le diverse istituzioni che operano nel mercato del lavoro.

C’è davvero da augurarsi che quanto auspicato dal Dott. Perna sia attuabile e attuato. L’augurio ancora più forte che dobbiamo esprimere è che ciascuno di noi, con il proprio nome, non abdicando al suo essere persona, cittadino, possa scrivere una storia virtuosa e di sviluppo, per se stesso e per gli altri, soprattutto in Calabria.

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