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giovedì, Aprile 18, 2024

Papa Francesco, la disoccupazione giovanile e la storia di “Giuseppe”

Papa Francesco, lo scorso maggio, nel discorso rivolto ai partecipanti alla Conferenza Internazionale della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice, scriveva: “I tassi di disoccupazione giovanile sono uno scandalo che non solo richiede di essere affrontato anzitutto in termini economici, ma che va affrontato anche, e non meno urgentemente, come una malattia sociale, dal momento che la nostra gioventù viene derubata della speranza e vengono sperperate le sue grandi risorse di energia, di creatività e di intuizione”.

Chissà cosa starà pensando dopo la diffusione degli ultimi dati Istat!

E’ corretto parlare di malattia sociale? L’Italia è come un corpo umano ricoperto da tante piaghe, tutte profonde, da curare, non con medicazioni e bendaggi esterni, ma con un potente antibiotico che agisca dall’interno. Questa consapevolezza complica tutto, perchè quando gli acciacchi di cui soffre il malato sono dovuti a diverse patologie, per trovare la cura necessaria a rimetterlo interamente in sesto, è indispensabile capire dove si annida il male che origina tutti gli altri mali.

Un’operazione ciclopica, dal costo altissimo, non solo in termini economici e, forse per questo, ancora più difficile da portare a termine con successo. Non si tratta “semplicemente” di mettere a posto i conti, ma di fare buone scelte, di individuare le priorità. L’occupazione giovanile è una priorità, perchè ad essa è legato il futuro del nostro Paese. Forse non ci rendiamo conto sufficientemente di questo fatto, presi come siamo dall’urgenza di vivere l’oggi, facendo di questo il nostro presente e anche il nostro futuro.

In questa tempesta l’orizzonte della nostra esistenza si appiattisce, appare offuscato. Senza un orizzonte non ci può essere una strada da percorrere, non ci può essere una traiettoria e lo smarrimento è a portata di mano. Papa Francesco invita i giovani a sognare, a non sciupare i talenti ricevuti, ma il sogno non riguarda solo i giovani, bensì la comunità che è chiamata a sognare con loro.

Giuseppe (lo chiameremo così) è un giovane calabrese, laureato, che oggi fa il commesso in uno dei tanti centri commerciali sparsi sul territorio. Contratto a tempo determinato ( oggi fa parte degli occupati, un domani molto prossimo farà parte dei disoccupati) e tanti progetti da realizzare in un tempo non determinabile, dal momento che non può contare su una retribuzione a lungo termine. Giuseppe ha un solo rimpianto: aver fatto spendere ai suoi genitori molti soldi per consentirgli di completare gli studi all’Università, per avere tra le mani una laurea, e ritrovarsi, poi, a fare il commesso.

Giuseppe pensa che, a conti fatti, avrebbe potuto iniziare prima a lavorare, in tempi in cui, forse, un contratto migliore gli sarebbe stato accordato più facilmente. Avrebbe versato qualche contributo in più per la sua pensione, mentre i soldi spesi per gli studi li avrebbe impiegati per i progetti che oggi non riesce a realizzare, soprattutto per mancanza di disponibilità monetaria.

Giuseppe non pensa neppure di chiedere un finanziamento per uno dei progetti che potrebbero migliorare il suo futuro lavorativo, consentendogli di mettere a frutto anche i suoi studi, semplicemente perchè: “Ci vuole troppo tempo, un anno o forse di più”. Domanda: che cos’è un anno rispetto alla vita che un trentenne ha davanti a sè? E’ corretto pensare allo studio esclusivamente in termini di “ponte” verso uno sbocco lavorativo? Com’è facile intuire, senza voler in alcun modo entrare illegittimamente nella legittimità delle decisioni altrui, manca una prospettiva, manca l’orizzonte. Non solo al giovane in questione, ma insieme a lui, e a tanti come lui, al nostro Paese.

Senza l’orizzonte non è possibile sognare. Senza il sogno non c’è lo slancio sufficiente per abbracciare la vita, per volare. Il sogno ha bisogno di nutrirsi della realtà per non essere pura illusione. Per questo la comunità deve essere presente, deve accompagnare i suoi figli, con i tratti di una madre, non di una matrigna.

E’ stato scritto che risolvere il problema della disoccupazione giovanile, e non solo, non vuol dire “semplicemente” mettere a posto i conti, ma fare buone scelte. Scelte buone e soprattutto giuste.
Cominciare a sognare insieme ai giovani sarebbe il primo passo, magari facendo maggiore spazio nei luoghi in cui le parole continuamente sciorinate danno l’illusione di volerlo creare questo spazio, mentre i fatti raccontano un’altra verità. Il riferimento, ça va sans dire, non va solo alla politica.

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