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venerdì, Aprile 19, 2024

Licenziamenti: il “silenzio malizioso” rimette al centro la discrezionalità del giudice?

Una delle strofe della bellissima canzone di Simon & Garfunkel, The sound of silence, recita così: “E nella luce pura vidi migliaia di persone, o forse più persone che parlavano senza emettere suoni, persone che ascoltavano senza udire, persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato e nessuno osava, disturbare il suono del silenzio”. Tranne i giudici, diremmo oggi, nel caso in cui si  palesi il “silenzio malizioso”. Come, quando, perchè?

Secondo la sentenza della Cassazione, n. 8260 del 30 marzo scorso, è possibile invalidare un accordo conciliativo firmato dal lavoratore in sede protetta, alla fine di una procedura di licenziamento collettivo, qualora il datore di lavoro non comunichi al dipendente le informazioni necessarie a valutare la convenienza dell’accordo stesso. Alla base della sentenza della Cassazione il ricorso di un lavoratore licenziato, in quanto figura professionale ritenuta tra quelle in esubero per l’azienda, e successivamente sostituito con un altro dipendente – attenzione –  chiamato a svolgere la stessa mansione,  non ritenuta più, a questo punto,  eccedentaria. Il dolo si concretizza, secondo i giudici, attraverso il “silenzio malizioso”, e tale nozione concede ai giudici stessi ampia discrezionalità in merito alla valutazione dei casi che sono da definirsi “nell’interesse della controparte” e che pertanto non possono essere taciuti al fine della regolarità dell’accordo conciliativo.

Nella sentenza leggiamo, infatti, che la Corte competente (in questo caso di Milano) “non ha considerato come anche una condotta di silenzio malizioso sia idonea ad integrare raggiro. Infatti, un tale silenzio, serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, costituisce, per l’ordinamento penale, elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Cass. pen. 18 giugno 2015, n. 28791). Non diversamente, nel contratto di lavoro, il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c. (Cass. 17 maggio 2012, n. 7751)”.

Il prof. Arturo Maresca (Università La Sapienza) ne “Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei Lavoratori, scriveva nel 2012 che “Il problema più acuto in materia di licenziamento è quello, già segnalato, dell’incertezza delle condizioni che legittimano il recesso del datore di lavoro nel caso sia del licenziamento disciplinare sia di quello per giustificato motivo oggettivo. Un’incertezza tale da rendere ben difficile per chiunque potersi pronunziare in via preventiva sulla legittimità o meno di un licenziamento e, quindi, sui costi che l’impresa deve affrontare nel caso in cui intende estinguere il rapporto di lavoro. La discrezionalità del giudice è molto ampia e, spesso, imperscrutabile per quanto attiene al licenziamento sia disciplinare sia per motivi economici”.

La sentenza della Corte di Cassazione in oggetto non solo rimette al centro il tema della discrezionalità del giudice in materia di licenziamenti ( con tutto quello che ne può derivare per entrambe le parti “in causa”), con o senza articolo 18, ma offre lo spunto per alcune provocazioni:

  • può l’ampia discrezionalità del giudice costituire una “ingessatura” per il mercato del lavoro in Italia? Quanto un deterrente per chi vuole fare impresa?
  • Con la nozione di “silenzio malizioso” si corre il rischio di istruire processi alle intenzioni?
  • Sarà possibile che gli eventuali interessi della controparte, anzichè tacitati dal datore di lavoro, maliziosamente o meno, siano discussi ed esplicitati nel verbale dell’accordo conciliativo, mettendo in conto la non prevedibilità di alcune esigenze aziendali che possono nascere anche dopo la firma dell’accordo stesso?
  • Se l’iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (articolo 41 Costituzione Italiana), quanto è davvero libero l’imprenditore nell’attuare le scelte che ritiene salutari per la sua impresa? Vero è che quanto accaduto con i voucher ci ha dimostrato che, in fondo, non è che siamo poi tanto capaci di fare un buon uso della nostra libertà! Non saremmo dovuti arrivare ad abolirli, eppure!
  • Il counseling aziendale potrebbe essere un supporto anche in questi passaggi così cruciali per la vita dell’azienda? Riuscire a comunicare bene prima della firma dell’accordo conciliativo, esternando le problematiche, anzichè rimanere imprigionati in cause e cavilli, non sarebbe una buona soluzione per i soggetti coinvolti?

Come asserito da Giampiero Falasca (Il Sole 24 ore), qualora dovesse prevalere la nozione estensiva del concetto di silenzio malizioso, “le imprese perderebbero interesse al pagamento di incentivi all’esodo e somme a titolo transattivo, che hanno come necessario presupposto la firma di un accordo definitivo e irrevocabile”.

Una questione non da poco, che merita di essere approfondita e affrontata perchè, contraddicendo un famoso spot pubblicitario del passato, dove c’è malizia non può esserci profumo di intesa.

 

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