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giovedì, Aprile 25, 2024

Anno 2017: liberi e forti per una nuova cultura del lavoro

Potrebbe risultare strano che, per augurare buon anno, si prendano in prestito parole antiche come quelle che Papa Leone XIII pronunciò nel lontano 1891 in merito alla relazione tra le classi sociali, ai loro mutui doveri imposti dalla giustizia, senza accordare sconti a chicchessìa. Eppure non lo è, dal momento che alcune parole antiche, universali,comprensibili al di là del credo religioso, sono ancora utili per descrivere temi sempre aperti, per ricordare come una vera e nuova cultura del lavoro può diffondersi se ogni uomo ha anzitutto contezza della propria e altrui dignità.

Ecco come Leone XIII, nell’encliclica Rerum Novarum, distinse i compiti degli operai e dei capitalisti.

Gli operai sono esortati a:

prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti, né mai trasformarla in ammutinamento; non mescolarsi con uomini malvagi, promettitori di cose grandi, senza altro frutto che quello di inutili pentimenti e di perdite rovinose.

I doveri dei capitalisti sono:

non tenere gli operai schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana, nobilitata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede il lavoro non degrada l’uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere onestamente con l’opera propria. Quello che veramente è indegno dell’uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze. Viene similmente comandato che nei proletari si deve aver riguardo alla religione e ai beni dell’anima. È obbligo perciò dei padroni lasciare all’operaio comodità e tempo che bastino a compiere i doveri religiosi; non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericoli di scandalo; non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall’amore del risparmio; non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti con l’età e con il sesso. Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio. Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste; questo dovere è tanto più rigoroso, quanto più debole e mal difeso è l’operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza. L’osservanza di questi precetti non basterà essa sola a mitigare l’asprezza e a far cessare le cagioni del dissidio ?

Tempi antichi, linguaggio antico, per una questione sempre cruciale e attuale. Nel corso della storia, infatti, i problemi mutano, come anche le opportunità, mentre alcune dinamiche nelle relazioni tra uomini, sia che la situazione esistente sia di progresso economico o di recessione, sembrano essere le medesime. Il mondo del lavoro offre da sempre numerosi esempi a riguardo, sia in campo nazionale che locale. Il lavoro nero, lo sfruttamento lavorativo, le buste paga fasulle, la persecuzione o mobbing, sono forse piaghe causate dalla crisi economica in atto oppure “prassi” già esistenti che la crisi economica ha contribuito a consolidare?

Tra le tante sfide presenti nel nuovo anno che si apre davanti a noi ce n’è una in particolare da accogliere: imparare a sentire nella nostra carne le ferite inferte all’uomo dall’ingiustizia sociale, per difenderlo e aiutarlo a riconquistare il suo posto nella società. Come possiamo, infatti, offrire solidarietà senza aver sperimentato prima la compassione?

Tutti noi possiamo essere operatori di ingiustizia, quando adottiamo un esasperato comportamento individualista, quando compiamo scelte sbagliate, seppur motivate, a nostro dire, da buone intenzioni. Non possiamo chiedere all’altro, chiunque esso sia, di cambiare, se noi in primis non siamo disposti a farlo.

Tutto questo presuppone introspezione, discernimento, onestà intellettuale, un vero e proprio percorso di cambiamento per il nuovo anno, contro la mentalità dell’apparire e della vanagloria, contro il più pericoloso orgoglio e imborghesimento, per essere adeguatamente attrezzati, per essere liberi e forti di costruire insieme una società più giusta e più vivibile, in cui ci sia lavoro vero e non dubbia ricchezza, che metta al centro la persona.

Buon 2017!

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