La Rete del lavoro agricolo di qualità è “un organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo”(fonte Mipaaf). Inserita nel 2014 nel progetto Campolibero, un piano di interventi finalizzato al rilancio dell’agricoltura italiana e al ricambio generazionale all’interno del settore primario, è divenuta “operativa” a settembre 2015.
Come funziona il meccanismo della Rete?
Anzitutto le aziende agricole, per aderire e ottenere una certificazione etica, devono seguire una procedura, inoltrare una domanda di iscrizione, attualmente disponibile nel sito dell’INPS, e dimostrare di possedere i seguenti requisiti: a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; b) non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a); c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.
Alla Rete del lavoro agricolo di qualità sovrintende una Cabina di regia, presieduta proprio da un rappresentante dell’INPS e costituita da rappresentanti dei ministeri competenti e delle parti sociali coinvolte nel lavoro agricolo: Ministero del Lavoro, Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell’economia e finanze, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome; Confederazione generale dell’agricoltura, Confederazione nazionale coltivatori diretti, Confederazione italiana agricoltori (per i datori di lavoro); Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil (per i lavoratori). E’ questa Cabina di regia a deliberare sulle domande di iscrizione alla Rete presentate dalla imprese agricole, ed è sempre a questo organismo che spetta il compito di redigere l’elenco delle imprese iscritte, vigilare sulla costante rispondenza delle imprese partecipanti alla Rete ai requisiti previsti, formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.
I requisiti richiesti alle aziende per essere ammessi alla Rete sono molto chiari, ma cosa succede alla domanda inoltrata dall’agricoltore che, ad esempio, ha in corso una rateizzazione per la regolarizzazione del pagamento dei contributi INPS? Sarà rigettata? E se questa “situazione di pendenza” costituisse per molte aziende un deterrente all’inoltro della loro istanza?
L’adesione alla Rete potrebbe comportare un “riconoscimento” alle aziende che si trovano in situazioni in via di regolarizzazione (per accertate difficoltà economico- finanziare) e che vogliono far parte di questa nuova realtà? Non sarebbe un modo per aiutarle ad emergere da una condizione precaria e per sottrarre, così, terreno fertile a coloro che invece strumentalizzano le nuove povertà per affermare la loro potenza?
Una scelta di questo genere ben si sposerebbe con lo spirito con il quale è stato scritto l’articolo numero 1 (modifiche al codice penale) del disegno di legge contro il caporalato, ancora da approvare, che introduce una circostanza attenuante per il delitto previsto dall’articolo 603 bis: “per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo alla metà”.
Infine: come si procederà nei confronti degli agricoltori che non avranno fatto richiesta di adesione?
L’adesione alla Rete è opzionale o fondamentalmente necessaria? Quale messaggio è stato finora realmente recepito dalle aziende agricole?
[…] La Rete del lavoro agricolo di qualità: come funziona? […]