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sabato, Aprile 20, 2024

La verità di Poletti e le verità nascoste

E’ da molto tempo, ormai, che la rete pullula di numerosi siti, il cui nobile fine è quello di informare l’utente sulle opportunità di lavoro in Italia e nel mondo, di dispensare consigli per la redazione di una buona lettera di presentazione o di un buon curriculum vitae, di suggerire l’abbigliamento da adottare per la riuscita di un colloquio di lavoro, come anche alcune regole per reinventarsi se ci si ritrova disoccupati a 40 o a 50 anni. Ottimo supporto, visto il momento, a dimostrazione di quanto la rete possa essere uno strumento davvero utile e, in molti casi, indispensabile. Tanto rumore per nulla, però, dopo le affermazioni di Giuliano Poletti: “Meglio giocare al calcetto, che inviare curriculum”.

Ancora una volta le parole del ministro del Lavoro hanno suscitato scompiglio, confusione, irritazione. Perchè? In fondo siamo tutti consapevoli che le conoscenze, le relazioni possono dare la possibilità al candidato di presentarsi meglio, di raccontarsi, come siamo tutti consapevoli che, spesso, il valore aggiunto di una candidatura è dato dalla forte motivazione dell’aspirante lavoratore, difficilmente trasmissibile attraverso un freddo foglio di carta o un file, o verificabile in un solo colloquio.

Se questa impostazione sia giusta o meno è un tema che andrebbe affrontato con serietà, che non dovrebbe essere liquidato frettolosamente, viste le molteplici implicazioni che ne derivano, professionali e non.  Nel frattempo, però, è importante cogliere l’attimo e focalizzare l’attenzione sui “normali” canali di assunzione. In poche parole, non abbassare i riflettori su quanto accade dopo che un candidato ha inviato un curriculum e si accinge a sostenere un colloquio di selezione per il personale richiesto.

Si fa presto ad affermare che il ministro Poletti dice la verità, liquidando la sua filosofia spicciola con un sorriso. Una filosofia anche monca, dal momento che, facendo riferimento ad una partita di calcio, abbraccia principalmente (se non esclusivamente) l’universo maschile. Occorre domandarsi, anzitutto,  quale verità viene detta. Se dobbiamo dire la verità, diciamola tutta. Diciamo anzitutto quella verità che chiede giustizia più di molte altre.

Ci sono storie nascoste nelle pieghe del quotidiano, sussurrate ai crocicchi delle strade, non riportate dalla cronaca se non nel momento in cui queste storie diventano di dominio pubblico a causa di un evento importante e straordinario. Il riferimento va al vissuto di alcune donne che, in occasione di colloqui di lavoro, si sono viste richiedere informazioni non funzionali ad una verifica delle loro qualifiche professionali, che hanno poi concorso ad un esito sfavorevole nella loro selezione.

Perchè non viene detto, ad esempio, che intrattenere una relazione sentimentale con un carabiniere o un finanziere potrebbe costituire un deterrente per un’assunzione?  Che è preferibile non comunicare che si è in procinto di sposarsi, perché questo dato potrebbe voler dire uno scarto automatico dalla possibilità di intraprendere una carriera lavorativa? Che non è possibile programmare il tempo libero perché il giorno dedicato al riposo settimanale, pur essendo stabilito da contratto, è continuamente soggetto a continue variazioni, di settimana in settimana, e non comunicato con opportuno anticipo?

Ricapitoliamo: scegliere con cura chi frequentare, o meglio, chi non frequentare; rimandare ad un domani sempre più astratto, incerto, la realizzazione dell’ambizioso e sacrosanto progetto di formare una famiglia; rinunciare a coltivare i propri interessi. O il lavoro o la vita, potrebbe essere la frase slogan per questa verità.

E’ emblematica, a tal proposito, anche l’esperienza vissuta dalla lavoratrice 25enne di Treviso, in dolce attesa, che avrebbe dovuto versare l’assegno INPS per la maternità nelle casse dell’azienda. Motivazione? Secondo la filosofia dei titolari, le spese per la sostituzione della dipendente avrebbero dovuto essere sostenute dalla dipendente stessa. Pena l’invito a rassegnare le dimissioni. Inutile dire che non si tratta di un caso isolato, anzi, proprio per questo motivo, occorrerebbe una parola autorevole delle istituzioni preposte su queste continue nefandezze, perpetrate ai danni del più debole. Debole che non è solo donna. La messa in moto di subdoli ricatti non prevede distinzione di genere, nè generazionale.

Se vogliamo dire la verità, dobbiamo dirla tutta, cominciando a fare luce sulle ingiustizie soffocate, su un mondo sommerso, a quanto pare, sempre più frequentato.

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