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giovedì, Marzo 28, 2024

Italia: cervelli in fuga o “al confino”

Le recenti dimissioni del deputato Ilaria Capua, la minaccia di dimissioni (successivamente ritirate) da parte del dott. Carlo Tansi, attualmente responsabile della Protezione Civile Regione Calabria, non possono che confermare come l’Italia non sia soltanto la Nazione dalla quale i cervelli fuggono per cercare altrove “collocazione” adeguata, ma anche il Paese dove le persone più competenti, quelle che provano a mettere in campo tutte le forze necessarie per servire il bene comune, vengono messe all’angolo, condannate ad un esilio insopportabile, da scontare paradossalmente nella propria terra.

I motivi sono tanti, anzi troppi, e tutti ben conosciuti da una platea eterogenea. Dunque, sarebbe ingiusto continuare ad animare il dibattito pubblico esclusivamente con la storia di chi fa le valigie ed espatria. Ingiusto perchè il rischio sarebbe quello di far cadere nell’oblìo la vita di molti altri lavoratori impossibilitati a svolgere i loro incarichi, seppur nella terra d’origine e con regolare contratto. Si parla generalmente di corruzione a più livelli, di mobbing, ma non esistono statistiche relative ai cervelli costretti al confino.

Praticamente viviamo in un Paese in cui il lavoro, pur essendo un diritto, viene spesso messo in discussione e sempre meno inteso come impegno per il bene comune. Il lavoro è anche “un ponte tra le persone e la città e tra la città e le persone”. Per provare ad andare in fondo al problema, è necessario, allora, fare un passo indietro o, se vogliamo, tracciare una breve premessa.

Il Papa emerito Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate scrive che

Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. (…) Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis.

L’intera delicata questione del bene comune, e quindi anche del lavoro, non può non essere affrontata alla luce di una dimensione istituzionale. In un recente saggio di Daron Acemoglu e James A. Robinson “Perché le nazioni falliscono. Alle origini di prosperità, potenza e povertà” (il Saggiatore, Milano 2013) vengono tracciate due tipologie di istituzioni: “estrattive” e “inclusive”. Il prof. Flavio Felice,  Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton, le ha così sintetizzate:

le istituzioni estrattive comportano una società fondata sullo sfruttamento della popolazione e sulla creazione di monopoli e oligarchie riducendo gli incentivi e la capacità di iniziativa economica della maggior parte della popolazione; vengono usate da determinati gruppi sociali e corporazioni, talvolta anche con il tacito o esplicito consenso del decisore pubblico per appropriarsi del reddito e della ricchezza prodotta da altri;  realizzano un assetto istituzionale tale da permettere lo sfruttamento di grandi ricchezze da parte di pochi, a danno di molti.

Le istituzioni inclusive, invece, permetterebbero, incoraggerebbero e favorirebbero la partecipazione del maggior numero possibile di persone, al fine di canalizzare nel modo migliore i talenti e le abilità, permettendo a ciascuno di realizzare il proprio progetto di vita; necessitano di uno Stato forte e imparziale che garantisca il libero accesso a tutti alla competizione; Lo Stato deve essere regolatore e arbitro, ma mai giocatore, o peggio, colluso con qualche giocatore.

Qualcuno potrà domandarsi: ma che ci azzecca il problema della fuga dei cervelli con la qualità delle istituzioni? Presto detto. Se alcuni cervelli fuggono e altri cervelli vengono messi all’angolo, costretti al confino, probabilmente le diverse istituzioni presenti nel nostro Paese sono maggiormente estrattive e non inclusive, sono strutture che non consentono la partecipazione e l’inclusione e impediscono uno sviluppo autentico. Uno sviluppo non autentico genera lo scenario che ormai tutti ben conosciamo: una guerra tra un + 0,1{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544} e un – 0,1{cbd9c1faeba5711866380b8c9dfc181d05577eef0adb5294792d39edd3158544}, tanto per fare un esempio.

Imparare ad individuare le istituzioni estrattive da quelle inclusive, procedere ad una impietosa critica nei confronti delle prime, potrebbe essere il primo passo per guardare in faccia il vero problema, denunciare e avviarsi verso un reale cambiamento.

Proposta: se i confinati venissero “richiamati ai loro posti” potrebbero contribuire a creare nuove condizioni e giuste opportunità per frenare la fuga all’estero di giovani promesse. Così facendo, l’espatrio sarebbe il frutto esclusivamente di una libera scelta e il nostro Paese potrebbe davvero tornare a crescere, perchè non più privato delle sue risorse migliori, senza limiti di età. Sarebbe davvero #lavoltabuona!

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