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giovedì, Aprile 18, 2024

Esercitare un ruolo: un “lavoro” che in pochi conoscono

Che cos’è il ruolo perchè te ne ricordi? Il ruolo, perchè te ne curi?

“Ritoccare” il testo del salmo 8 per affrontare il tema del “ruolo” non è un gesto di semplice casualità o, addirittura, di irriverenza. Nella versione fedele del salmo, infatti, viene chiesto a Dio chi sia l’uomo e perchè egli debba prendersi cura della sua creatura. Nel nostro caso, invece, le domande iniziali “Che cos’è un ruolo perchè te ne ricordi? Il ruolo, perchè te ne curi?” dovrebbe essere l’uomo a porle a se stesso, per vivere, o sforzarsi di vivere appieno la sua umanità, perchè sia anzitutto lui a prendersi cura della sua persona.

Domande non più, o forse mai, imprescindibili.

In questa epoca di crisi, non solo economica, ma di valori e di senso, di tagli, di costi, di esclusione sociale, il termine ruolo è rimasto incastrato sotto le macerie prodotte dalla precarietà, dal potere fine a se stesso, dalla rabbia, dal culto della visibilità, da una forma sempre più lontana dalla sostanza.

A furia di parlare di lavoro come “occupazione”, senza voler attribuire una benchè minima sottolineatura negativa all’affermazione, abbiamo dimenticato che il lavoro va oltre la concezione di un impiego più o meno retribuito che sia. Più o meno, perchè la crisi del ruolo non si riscontra principalmente dove c’è precarietà e dove, dunque, la sopravvivenza è una parola d’ordine che non dà spazio ad altre parole, ma soprattutto nelle professioni esposte ad un maggiore esercizio di responsabilità sociale, dove c’è ricchezza materiale, ma tanta povertà morale.

Se pensiamo, ad esempio, al sacrificio immane al quale un papà, una mamma, o più semplicemente, un uomo o una donna che lavorano, sono sottoposti quando, pur di mantenere la propria famiglia o sopperire alle proprie necessità, devono accettare condizioni di lavoro al limite dell’indecenza, ci appaiono ancora di più inaccettabili le azioni di un politico che in Parlamento, per opporsi a qualcosa che ritiene, a torto o a ragione, sbagliato, compie gesti inconsulti e indecorosi, gettando alle ortiche il ruolo che è chiamato ad esercitare.

Il papà e la mamma, un uomo o una donna che lavorano, pur di esercitare il loro ruolo e di rispondere alle responsabilità che si sono assunti volontariamente, accettano la difficoltà, senza comunque rassegnarsi.  Il politico, invece, sembra non avere una comunità di riferimento verso la quale esercitare il ruolo e rispondere con responsabilità. Lo evidenzia lo stallo in cui si trova il nostro Paese. Ovviamente non è solo il politico ad essere “sotto accusa”.

Pensiamo, ad esempio, a quei pubblici ministeri che, ossessionati dalla loro idea di giustizia, o forse semplicemente da un desiderio insaziabile di visibilità, intavolano cacce alle streghe, per poi ritrovarsi con in mano neppure un pugno di mosche. Quella ossessione non scavalca forse i limiti imposti dal ruolo che sono chiamati ad esercitare? Quei limiti che impongono comunque il senso del rispetto nei confronti delle istituzioni che essi rappresentano e dell’uomo che le istituzioni sono chiamate a servire?

La lista di esempi da proporre sarebbe ancora molto lunga. Ciò che è certo, intanto, è che nessuna istituzione può dirsi al riparo dalla deriva diversamente esemplificata.

Un individualismo esasperato, un senso di onnipotenza cresciuto su un letto di vigliaccheria, e ogni professione, ogni lavoro, dal più umile al più rilevante, sganciandosi dal ruolo che lo contraddistingue,  si svuota di senso. Allora ci guardiamo attorno e vediamo una moltitudine di persone dall’aspetto impeccabile e dallo sguardo assente, in cui si intravede un mondo finito, ossia, limitato.

Tornano alla mente le domande iniziali: Che cos’è il ruolo perchè te ne ricordi? Il ruolo, perchè te ne curi?

Per rispondere alle domande potrebbe essere sufficiente capire cosa vogliamo fare della nostra vita, qual è il traguardo che desideriamo raggiungere e se ci sentiamo, più o meno, custodi di chi ci sta accanto.

 

 

 

 

 

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