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giovedì, Aprile 25, 2024

Cosa nasconde l’universo degli inattivi?

Gli ennesimi ed altalenanti dati Istat sull’occupazione nel nostro Paese evidenziano come i rimedi messi in campo per ritornare a crescere siano stati, finora, dei falsi rimedi e come “dalle nostre parti” continui a regnare indisturbato un certo immobilismo, frutto dei falsi rimedi appena menzionati e padre della categoria degli “inattivi”, persone che hanno smesso di cercare un lavoro per diversi motivi, tra cui la sfiducia.

Proviamo ad analizzare oggi proprio il dato della sfiducia, anche perchè, nel tempo, molte parole sono state spese sul lassismo e poche, invece, sulle cause che provocano la sfiducia da parte di chi non cerca più un lavoro. Solo una premessa: la riflessione che segue riguarda soprattutto il contesto del territorio in cui viviamo.

Per analizzare le motivazioni che possono portare alla sfiducia è necessario partire da una domanda: trovare un lavoro, essere assunti con contratto, significa automaticamente che quel contratto sarà applicato fedelmente e che il lavoratore potrà godere di suoi diritti?

Proviamo ad ipotizzare alcune situazioni: è possibile che un lavoratore assunto con contratto part time svolga la sua mansione full time? E’ possibile che un lavoratore non goda del riposo settimanale e tantomeno delle ferie? Che gli orari richiesti fuori contratto gli impediscano di prestare attenzione a determinate problematiche famigliari? E’ possibile che un lavoratore non venga retribuito per mesi e che per sopravvivere, pur lavorando, debba mettere mano ai suoi risparmi e alle sue risorse?  Se San Tommaso d’Aquino ricorda che “nessuno può soccorrere l’altro con cose a sé necessarie”, tanto più non può farlo la parte più debole della società nei confronti di quella più forte, per cause neppure imputabili alla sua condotta. Non può farlo per ragioni oggettive e di giustizia.

In ogni caso, a tutte le situazioni appena ipotizzate non possiamo che rispondere in maniera affermativa. Sì, è possibile che tutto questo accada ed è anche plausibile che tutto questo generi sfiducia a tal punto da indurre le persone a non cercare più un lavoro. Plausibile ma non accettabile.

Non è accettabile per l’uomo che non può non provvedere al suo sostentamento, che non può rinunciare a cercare la sua realizzazione per paura di dovere reclamare i suoi diritti, che non può diventare un parassita, che ha il preciso dovere di vincere la paura che provoca ulteriore fragilità ed esclusione. La sfiducia non può neppure costituire un impedimento per l’avvio di un’esperienza di autoimprenditorialità, seppure anche su questo versante sono molti gli ostacoli, come la burocrazia, che rendono arduo il cammino.

Non è accettabile per uno Stato di diritto che, mentre sfoggia la Costituzione più bella del mondo, non può sussurrare al cittadino che, comunque sia, deve accontentarsi di ciò che ha, se quel ciò che ha è rappresentato dal nulla sopra descritto. La giusta retribuzione, il tempo libero da dedicare alla famiglia, il giorno di riposo, indispensabile per pregare, leggere, studiare, pensare, non possono essere considerati come dei semplici capricci. Indagare l’universo degli inattivi potrebbe significare allora far emergere le molte ingiustizie che nessuno più considera, talmente è alto il livello di assuefazione al caos che la crisi economica ha prodotto.

I capitoli della sfiducia e della rinuncia alla ricerca di un lavoro non possono essere liquidati esclusivamente con queste riflessioni e non possono neppure essere bollati sotto il marchio del lassismo o della strategia di chi ancora crede nell’utilità di uno Stato assistenzialista. Quanto descritto, prodotto da numerose testimonianze di vita di uomini e donne, deve aiutare a comprendere che per cambiare la realtà del nostro Paese, per ritornare davvero a crescere in tutti i sensi, occorre guardare in faccia i problemi, con coraggio, e affrontarli.

Tutto questo ha un costo: siamo disposti a sostenerlo?

 

 

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