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giovedì, Aprile 25, 2024

Amministrare bene per una civiltà nuova

Al netto delle definizioni fornite dal vocabolario della lingua italiana o delle frasi ad effetto lanciate in qualche manifestazione pubblica, senza neppure possibilità di un contraddittorio, credo che il significato della parola comunità possa essere contenuta in questo pensiero, seppure personale: la comunità è uno spazio aperto che rivela una realtà storica.

In questo spazio noi, uomini e donne, in questo tempo, ci giochiamo la nostra libertà e manifestiamo, proprio attraverso il nostro gioco, il significato che attribuiamo alla libertà. Libertà di fare il bene o il male. Libertà di decidere da che parte stare.

Noi, in questo spazio e in questo tempo, costituiamo una realtà, dentro una Storia, che viene rivelata. Da chi? Dalle nostre stesse scelte e azioni.  

In questo avvicendarsi di scelte e di azioni, il cui risultato non sempre ha contribuito e contribuisce tuttora al posizionamento delle nostre comunità sulle alte vette del progresso umano e civile, mi domando quale possa essere la vera missione di un amministratore. Tra qualche giorno, il 3 e il 4 ottobre, 1157 comuni italiani saranno chiamati ad eleggere un nuovo sindaco, un nuovo consiglio comunale e, dunque, vale la pena porsela questa domanda.

Perché spendersi e prendersi cura di una comunità divisa, una comunità composta da persone capaci di produrre rifiuti anche con le parole, che magari presenta tutti i tratti di un decadimento non soltanto fisico?

Io credo che, oggi, un candidato amministratore debba comprendere che governare una comunità significhi anzitutto sposare una missione: gettare le fondamenta per una civiltà nuova. Serve a poco parlare di bene comune se si prescinde da tale premessa.

Provo a fare un esempio: se un amministratore deve costruire una strada, farà in modo di realizzarla nel miglior modo possibile, lasciandosi ispirare dalla bellezza, impiegando materiali idonei, rivolgendosi ad imprese competenti, rispettando l’iter burocratico previsto. Tutto questo perché? Per dimostrare di essere bravo o meritare il rispetto di chi nutre pregiudizi nei suoi confronti? Per meritare il consenso ricevuto o costruire una buona carriera? No, non per questo.

Semplicemente perché la strada che costruirà dovrà essere attraversata da tutti: buoni o cattivi, belli e brutti, amici o avversari, poveri o ricchi, senza distinzione alcuna. È come se le fondamenta di quella strada dovessero trovare anzitutto spazio nel suo cuore e solo successivamente essere piantate nel terreno. Una strada bella non perché chi la attraverserà possa o debba meritarla, ma perché il modo con cui verrà realizzata, l’armonia, il decoro, lo spirito di servizio possano essere sempre lì a ricordare, a ricordarci che una civiltà nuova è possibile. Un’aria nuova, uno spirito nuovo.  

La nostra libertà farà il resto. Potremo innescare una reazione a catena, moltiplicare il bene servito o continuare a cannibalizzarlo.

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